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“Io (di) chi sono” Il difficile lavoro di ricerca dell’identità delle persone adottate
di Simona Sarti. Edizioni Bonomo, 2017Il libro riferisce di una indagine psico-sociale di tipo qualitativo, a commento di un ampio campione di interviste fatte a numerosi figli adottivi giovani o adulti sul tema dell’origine. Inutile dire che per molti di loro l’origine biologica è oscura, e spesso non legata a un atto d’amore, perlomeno consapevole. Molti di loro hanno fatto ricerca sulle loro origini, anche incontrando direttamente, o indirettamente (con notizie riportate), la madre biologica. Quello che davvero colpisce è che quasi tutti gli intervistati, pur documentando tutta la dolorosa e lunga fatica di una riconciliazione con la propria storia, giungono a riconoscere che genitori biologici e genitori adottivi sono parte e tramite di una storia che ha consentito loro di ritrovare se stessi, vorrei dire: di ritrovarsi come “donati” a se stessi. Io penso che nessuno “fa” la vita, e dunque nessuno può donarla, se non come tramite di un dono a sua volta ricevuto. Sant’Agostino pone la differenza tra “creare”, atto divino, e “pro-creare”, atto umano, grazie al quale la donna e l’uomo in uno sono assunti alla dignità di con-creatori. In questo senso si può forse meglio comprendere Luigi Giussani quando dice che si è coscientemente padri solo se si è consapevolmente figli. Può perfino accadere che un bambino sia nato da un atto di violenza carnale, come è accaduto a una degli intervistati in questo libro, e che riconosca però di avere ricevuto un dono di amore da parte di quella povera madre, che pur in quella tragica circostanza ha accettato di portarla in sé nei decisivi nove mesi della gestazione. Questa figlia non è, come direbbe Heidegger, semplicemente “gettata nel mondo”, ma in qualche modo è giunta a poter riconoscere, con tutta la sofferenza inevitabile del caso, che nonostante tutto è stata “pro-gettata” dentro a un amore oblativo che ha il sapore dell’Eterno. L’ampia parte introduttiva e più strettamente scientifica del libro riporta numerosi studi di natura medica e psicologica sulle profonde relazioni che si intrecciano tra la vita del feto e il contesto biologico e ambientale della madre, restando impresse nella memoria profonda, sensoriale e pre-cosciente, anche del figlio ormai adulto. Il testo è per alcuni aspetti spiazzante rispetto ad alcune convinzioni consolidate sull’adozione, che in una certa misura sono condivise anche da ottimi genitori adottivi che intendono giustamente aiutare i propri figli a liberarsi da un passato che non vuole passare. Ma il punto è proprio questo: come accompagnare, e con quale gradualità, i figli adottivi nel difficile passo che nel tempo possa trattare il passato davvero come passato? Naturalmente su questa domanda non vi sono ricette o “procedure” applicabili a tutti in modo indifferenziato e prescindendo dal grado di strutturazione psichica e dall’attuale sofferenza delle persone coinvolte. Ma le ricerche riportate suggeriscono che la madre naturale è così radicata nella biologia e nella psiche del figlio adottato, da far scegliere all’autrice, piuttosto che l’espressione dicotomica e divergente di “doppia appartenenza”, la formula “appartenenza mista”, che esprime meglio la complessità e la contemporaneità dalla presenza nel figlio di più figure genitoriali. Chi tra i genitori adottivi ha dovuto sostenere la profonda sofferenza dei propri figli, che soprattutto in età adolescenziale e anche dopo gridano il loro bisogno di sapere, di avere delle ragioni, può comprendere come non sia un’astrazione questo riferimento a un’appartenenza “mista” , che nella continuità del nome d’origine trova come un punto di sintesi. Da un’intervista a un adottato grande: “Quello che teneva unita la mia storia, il passato con il presente, era il mio nome. Non lo definirei neppure un abbandono quello che ho vissuto, perché il fatto che lei mi ha dato un nome vuol dire che io esisto, che ci sono, è stato quello che mi ha fatto riscoprire questa appartenenza alla famiglia”. Questo passaggio richiama alla mente una delle più belle poesie che abbia mai letto, e che memorizzai quando ero ventenne, per ritrovarla solo recentemente nel suo testo esatto: “Non mi dimenticare, puniscimi / ma dammi un nome, dammi un nome, / mi sarà più facile con esso, comprendimi, / nel profondo gravido azzurro” (Osip Mandel’stam, “Il programma del pane”). |
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L’eclissi del Padre. Un grido
di Paul Josef Cordes, Marietti 2002
In quest’epoca moderna e post-moderna, narcisista, autosufficiente, refrattaria all’idea di un uomo che si costituisca nella relazione e nella dipendenza dall’altro uomo, abbiamo tutti bisogno di un padre. E di un padre presente.
Scrive l’autore del libro:
“La relazione generazionale costituisce senza dubbio – a ben vedere – il principio di tutti i possibili legami tra gli esseri umani. Accettare la paternità di un altro significa accettare il fatto che un altro sia all’inizio della mia esistenza, il fatto che la mia vita deriva da un altro, il quale è in certo qual modo il suo fondatore da me irraggiungibile. Il patto stretto con lui è indissolubile e segna la mia persona con una ipoteca incancellabile” (pag. 58).
Questa è l’evidenza cui ci mette ripetutamente davanti questo testo, attraverso un’indagine che prende le mosse dall’inchiesta giornalistica di una femminista, Susan Faludi, che si è volta ad indagare l’esperienza del mondo maschile americano per scoprire in modo imprevisto quanto la violenza sulle donne troppo spesso nasca da una violenza subita: quella del padre che si nega, o che viene negato.
Vi è in questo libro un’indagine del tutto trasversale, che chiama in causa le diverse conoscenze della psicologia sociale (nell’analisi di molteplici esperienze vissute e riportate da più fonti in tuta la loro drammaticità fenomenica), della filosofia, della letteratura e della religione (Abramo, Lutero, San Francesco, Kierkegaard, Lévinas, Wojtyla), e che infine trova nella teologia trinitaria la radice ontologica del bisogno del padre e ad un tempo la via d’uscita possibile per chi a questo bisogno non è più dato di trovare una risposta terrena.
L’autore, mons. Paul Josef Cordes, di origine tedesca, è stato dal 1980 al 1995 vice-presidente del Pontificio consiglio per i laici, poi presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, il dicastero della carità del papa. Questo libro sembra nutrirsi tanto di teologia quanto di esperienza del mondo, e impressiona la diagnosi acuta a impietosa di una malattia mortale del nostro tempo, che sembra ormai pervadere anche gli ambienti a noi più vicini: il defilarsi dei padri, e contemporaneamente la pericolosa deriva cui sono lasciati i figli maschi che non sanno più accogliere come risorsa la propria identità di genere, e che pertanto o sono appiattiti su modelli soltanto femminili, o al contrario spinti da immagini aggressive e violente della propria mascolinità.
Non è un libro sull’adozione o l’affido, bensì sulla paternità in quanto tale, ma proprio per questo esso ci aiuta a meglio comprendere quel particolare legame, che esiste perché capace di assumere nella dimensione spirituale e psicologica una relazione che il solo legame di natura non saprebbe tenere in piedi. |
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Uomo-donna, il “caso serio” dell’amore
di Angelo Scola, Ed. Marietti (2002)
In queste pagine Angelo Scola esamina i diversi significati della nostra natura sessuata. Essa, affondando le sue radici nel Mistero della volontà originaria di Dio creatore, ci appare come il riflesso e l’impronta che la Trinità, essa stessa comunione di Persone, ha impresso nella sua creatura e insieme come segno di un destino di comunione, la cui scuola corporale è la famiglia, luogo educativo ad un amore pieno e per sempre.
Questo piccolo e denso testo di S.E. Angelo Scola, allora patriarca di Venezia, fa sintesi di una ampio studio condotto dall’autore in due grossi tomi. Esso è dedicato al Mistero nuziale, e si compone di tre parti:
1 – L’io e il tu, o la «differenza sessuale»
2 – Il dono di sé («Ti amo»)
3 – La fecondità: l’amore genera amore.
Dentro a questa trama sono rinvenibili alcune categorie di fondo che ci aiutano a ripensare i fondamenti antropologici dell’accoglienza familiare.
Mons. Scola ci invita in queste pagine ad interrogarci a fondo sul significato naturale, psicologico, teologico della nostra natura sessuata. Essa, affondando le sue radici nel Mistero della volontà originaria di Dio creatore, ci appare come il riflesso e l’impronta che la Trinità, essa stessa comunione di Persone, ha impresso nella sua creatura (“uomo e donna lo creò”), e insieme come segno di un destino di comunione, la cui scuola corporale è la famiglia, intesa come luogo educativo ad un amore pieno e per sempre. Dentro all’avvenimento sacramentale dell’accogliersi reciproco e corporeo del marito e della moglie nella loro irriducibile differenza, sta la possibilità concreta e sperimentabile di un’apertura all’altro uomo, nella concretezza del volto di un figlio, di un padre anziano, di un “estraneo”.
Anche la paternità e la maternità, ci suggerisce l’oggi Arcivescovo di Milano, non sono esenti dalla dimensione della libertà, che connota ogni azione propriamente umana: alla luce di tale riflessione appare allora possibile pensare insieme la “pro-creazione” biologica e l’accoglienza di figli “altri” come differenti modalità di un’unica fecondità che nasce dalla vita coniugale, come sviluppo maturo del mistero nuziale. Del resto, ci ricorda l’autore, in Cristo Gesù siamo resi tutti figli adottivi dell’unico Padre: «il cristiano è tale perché, con il battesimo, egli è accolto, adottato. Per questo viene giustamente chiamato, anche a livello soprannaturale, figlio. Figlio adottivo di Dio».
Una piccola perla aggiuntiva di questo prezioso testo è l’inserimento, a conclusione di ognuna delle parti fondamentali di cui si compone, di alcune pagine di Dizionario («Parole da riscrivere», «Parole in disuso»), dotate di autonomia propria, che fissano alcuni concetti forti dell’antropologia cristiana restituendone un significato spesso perduto dai fraintendimenti della cultura moderna. Citiamo solo alcuni di questi termini, lasciando al lettore il gusto di andare a riscoprirne il più profondo significato: felicità, libertà, desiderio, autorità, paternità.
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Amare ancora. Genitori e figli nel mondo di oggi e di domani
di Massimo Camisasca, ed. Edizioni Messaggero, Padova 2011
Il cuore dell’essere umano in tutte le fasi della vita: innamoramento, matrimonio, l’essere padre, madre e figli, la fedeltà, i fallimenti, il lavoro, il rapporto con le altre famiglie e con la società, la cura degli anziani.
La famiglia come bellissima tentazione per il futuro e non istituto del passato da difendere. Va controcorrente don Massimo Camisasca con il suo libro Amare ancora (pp. 144). Le pagine dei giornali e i talk show televisivi sono la cronaca quotidiana della crisi delle famiglie.
Il sottotitolo Genitori e figli nel mondo di oggi e di domani suggerisce il tema portante del libro: i rapporti familiari, il legame tra genitori e figli, tra marito e moglie, strada esaltante e talvolta complicata verso la vita. Don Camisasca è sicuro che la famiglia soffre ma non passerà mai di moda, perché custodisce i valori profondi della vita di ogni uomo.
“L’uomo per essere felice cerca da sempre legami stabili, desidera che ciò che ama possa durare per sempre. Non è continuando a cambiare che si può essere più felici. Le difficoltà non sono i segni inevitabili di un fallimento ma la possibilità di un cambiamento”.
“Oggi è ancora possibile educare i propri figli nella misura in cui trasmettiamo non regole ma qualcosa che viviamo davvero. I figli cercano punti stabili nel rapporto con il padre e la madre. Educare significa prendere per mano il proprio bambino per portarlo a incontrare le cose, giocando con loro, passando del tempo con loro”.
Amare ancora è uno strumento utile per approfondire i temi cari a Benedetto XVI, che ha deciso di celebrare nel 2012 l’Anno Internazionale della famiglia con il VII incontro mondiale dal titolo La famiglia: il lavoro e la festa, in programma a Milano. “Questo appuntamento – ha spiegato il Papa – costituisce un’occasione privilegiata per ripensare il lavoro e la festa nella prospettiva di una famiglia unita e aperta alla vita, ben inserita nella società e nella Chiesa, attenta alla qualità delle relazioni oltre che all’economia dello stesso nucleo familiare”. |
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La casa, la terra, gli amici
di Massimo Camisasca, Edizioni San Paolo 2011
Casa vuol dire un luogo fisico, un padre e una madre, dei fratelli, ma anche amicizia, accoglienza, comunione. Soprattutto in essa troviamo le esperienze fondamentali: essere figlio, fratello, padre, madre. La seconda parola, terra, indica anche il nostro essere fatti di terra, di polvere, di limiti. Infine l’esperienza del lavoro e gli amici.
L’autore si chiede: quali sono le realtà su cui la Chiesa deve concentrarsi, lasciando perdere ciò che è marginale? In altre parole: che cosa è essenziale nella vita cristiana? L’autore è convinto che nel nostro tempo sia necessario sottolineare ed educare alle cose fondamentali che possono accompagnare l’uomo nel suo attraversamento dell’esistenza, verso la luce.
Ecco l’origine del titolo. Innanzitutto la casa. Casa vuol dire un luogo fisico, un padre e una madre, dei fratelli, ma anche amicizia, accoglienza, comunione. In essa si intrecciano i lati oggettivi e soggettivi della vita, la generazione e l’amore, il sacrificio e la gioia. Soprattutto in essa troviamo le esperienze fondamentali: essere figlio, fratello, padre, madre. La seconda parola, terra, indica la destinazione universale di ogni vera esperienza umana, ma anche il nostro essere fatti di terra, di polvere, di limiti, e infine l’esperienza del lavoro come una delle espressioni decisive nella vita dell’uomo, assieme all’amore. Infine gli amici. Camisasca vede nell’amicizia il vertice dell’esperienza della carità. Non si abbandona a una considerazione sentimentale dell’amicizia, ma ne vuole scoprire i tratti necessari per la vita di ogni uomo.
Attorno a questi tre temi fondamentali, ne vengono sviluppati altri. Due in particolare corrono lungo tutto l’arco del libro: l’autorità e lo Spirito Santo. La vita della Chiesa infatti nasce dall’alto, da Dio: «Egli è il motore e l’ispiratore di tutta l’esistenza cristiana.» Contro ogni moralismo e volontarismo, Camisasca insiste sul valore di dono che è la vita cristiana.
L’autorità infine è presentata come esperienza liberante. Non è il nome di una presenza malvagia, ma quella di un maestro, di un padre, di un amico. Il libro è perciò un invito a cercare quelle autorità che possono realmente fare grande la nostra esistenza. |
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Benvenuto a casa
di Massimo Camisasca, Edizioni San Paolo 2013
In questo libro sono raccolte le intense riflessioni che monsignor Massimo Camisasca ha rivolto ai soci di Famiglie per l’Accoglienza.
La scoperta di essere amato è l’esperienza più importante della vita. Ed è quella che ci rende capaci di amare. Quando si vive la gioia di essere accolti, si diventa capaci di accogliere. È questo il succo delle pagine che seguono. Esse raccolgono le parole che ho rivolto all’associazione Famiglie per l’Accoglienza, durante gli ultimi sette anni. Per lo più si tratta di genitori che, in assenza di figli biologici o per altre ragioni, hanno deciso di accogliere in affido o in adozione dei bambini. La loro vita ne è stata profondamente segnata.
Testimonianza di tutto ciò sono le lettere che mi scrivono e di cui ho inserito nel mio libro alcuni frammenti. Nel nostro tempo in cui tanto si dibatte attorno alla convivenza fra uomini e donne di diverse culture, etnie, lingue e religioni, queste pagine vogliono offrire un itinerario semplice di accoglienza dell’altro. Qualunque persona è altro da me, ed è un segno del mistero che mi chiama, un segno di Dio nella mia vita.
Massimo Camisasca, dalla presentazione del libro |