Le case-famiglia nate dalla storia dell’Associazione Famiglie per l’Accoglienza hanno diverse fisionomie, espressione dei differenti percorsi che le hanno generate, ma anche caratteri simili.
Tutte le case hanno fatto un percorso, spesso prolungato nel tempo, per arrivare all’attuale assetto. In alcuni casi si è verificata una duplice trasformazione: la famiglia, che già faceva accoglienza di minori, ha realizzato una casa-famiglia, quindi un’opera sociale in grado di assumere responsabilità sia con gli accolti che con le istituzioni; la dimora familiare è stata adattata per rispondere – in termini di spazi e servizi – a precisi requisiti. In altri casi, la casa è stata realizzata cogliendo l’opportunità di gestire una struttura per l’accoglienza di minori offerta da un ente. In un altro caso, infine, le famiglie promotrici, una volta presa la decisione, hanno cercato l’immobile adatto, quindi ristrutturato per lo scopo.
Tutte le case-famiglia hanno un ente gestore – un’associazione di volontariato, un’istituzione, una congregazione religiosa – e rispondono alle leggi regionali competenti per il territorio. Gli immobili sono di proprietà dell’ente gestore – in comodato e in affitto – o di proprietà della famiglia stessa. Dal punto di vista delle strutture, alcune case-famiglia possono contare anche su spazi di convivialità per i visitatori e per i volontari, al chiuso e all’aperto, spazi che sono preziosi per l’apertura della casa-famiglia all’ambiente circostante.
Le case si sostengono economicamente con il reddito da lavoro dei genitori e con le rette corrisposte dagli enti per ogni minore affidato alla struttura. La capacità di accoglienza della struttura varia in base alla normativa regionale, che generalmente prevede l’accoglienza massima di 6 minori.
Nelle case-famiglia sono implicati vari soggetti: oltre alle famiglie stesse, i minori accolti, professionisti e i volontari.