Le ultime tappe dell’Associazione in Veneto: a tema la realtà delle famiglie accoglienti
Nell’incontro regionale di Famiglie per l’Accoglienza del 17 aprile scorso, Paola Jannon, assistente sociale e componente del direttivo regionale dell’Associazione, ha ripercorso le tappe e gli incontri più significativi di questi ultimi mesi per l’Associazione in Veneto. Riproponiamo il suo contributo introduttivo.
Iniziamo questo ultimo appuntamento regionale per quest’anno sociale che ci ha visti coinvolti in un percorso che, possiamo dire. È iniziato con l’ultimo incontro dell’anno scorso, nel quale, a Chioggia, Stefano Giorgi, direttore del Centro di Formazione Professionale In-presa di Carate Brianza, in un coinvolgente dialogo con alcune delle nostre famiglie, ci ha detto: I nostri figli devono vedere la nostra certezza di fronte alla loro ribellione. È stata una sfida che abbiamo voluto raccogliere, e che ci ha lanciato in un percorso, tenendo aperta una domanda: Che cosa tiene? Quanti nostri figli vivono quest’inquietudine, questa fatica del vivere, una ribellione! Che cosa, quale verità, riesce a mettere in moto e a interessare la vita, e quindi la realtà di un ragazzo, a mettere in moto la libertà, a muovere chiunque di noi?
«Quando un nostro figlio è inquieto, è in difficoltà, quando uno ha dentro delle domande, quando fa fatica a vivere il quotidiano o quando uno si perde», ci aveva detto Enrico Craighiero, «noi ci accaniamo a fare una sola cosa: a togliergli questa inquietudine. Gliela vorremmo risparmiare, vorremmo che la sua vita non si confrontasse mai con questa inquietudine, gli vorremmo risparmiare tutta questa fatica. Questa inquietudine è una grossa ferita, ma se tu la terrai desta, entrerà dentro un grande raggio di sole. Se ridurrai questa ferita ti accontenterai di una risposta piccola».
Abbiamo allora voluto incontrare Enrico nel nostro primo appuntamento di quest’anno, a Verona. Un lavoro di prestigio il suo, una moglie con cui vivere un’intesa piena, e poi l’attesa più bella, diventare padre. Nascono due gemelli che da subito sono diversi, segnati da handicap importanti. Enrico ci ha raccontato che per quattro anni ha vissuto arrabbiato e chiuso; poi un giorno ha incrociato lo sguardo di sua moglie sui loro figli, era diverso dal suo, era grato, era lieto. Ha cominciato allora a desiderare anche per sé quello sguardo; poi, piano, piano, soprattutto grazie a lei e a tanti incontri e amici, è cambiato. È accaduto che con loro c’era qualcosa che rendeva bella la vita. Ed ecco una nuova, affascinante provocazione da raccogliere: come poter avere anche noi uno sguardo così, sulla normalità della vita, nostra, dei nostri figli e poter guardare le circostanze anche quando diventano faticose, come quando i figli crescono e la genitorialità diventa difficile?
Lo abbiamo chiesto alla psicologa Anna Marazza, a Lonigo, il 7 febbraio scorso, che da molti anni segue coppie e famiglie con particolare riferimento allo studio della relazione e della genitorialità. Ci ha detto: «Di cosa hanno bisogno i figli nell’adolescenza? Di un adulto che gli dica “così come sei vali, ho stima, facciamo il tifo per te”. Dobbiamo guardare insieme con loro le loro fatiche. È una compagnia. La genitorialità è un percorso difficile, ma fatto per persone imperfette come noi. Bisogna fermarsi, sedersi vicino a loro e dire: “Sapessi quante volte è capitato anche a me!”. I ragazzi devono incontrare la vostra umanità, non la vostra pretesa. Questo lavoro voi lo sapete fare soprattutto se vi farete aiutare. Ma non fermatevi davanti alla fatica. Non spaventatevi. Non abbiate paura dei figli. Con serenità fategli vedere cosa siete».
Già, appunto, cosa mostriamo di noi ai nostri figli? Qual è la nostra identità? Da qui l’incontro e il titolo di oggi: “Non insegnate ai bambini, ma coltivate voi stessi”, ripreso da una dolcissima e melanconica canzone di Giorgio Gaber, che abbiamo appena sentito. Abbiamo invitato oggi per un dialogo e un confronto su questo tema i coniugi Angela e Roberto Zucchetti, genitori adottivi e accoglienti di lungo corso, chiedendo loro di aiutarci a riprendere e ad approfondire queste domande e altre che oggi vorremo porre, nell’intento non di scoprire facili soluzioni, ma di aiutarci a svelare a noi stessi le ragioni che rendono la famiglia un ambiente adeguato ad educare. Proprio perché Famiglie per l’Accoglienza non vuole essere un’opera assistenziale, ma un’opera che guarda ad altro, non a risolvere dei problemi, ma ad educare: iniziando da noi stessi.
Ricordo una frase che Roberto ha detto anni fa: «Scriviti sullo specchio del bagno, dove tu ti fai la barba e tua moglie si trucca al mattino, “chi sono io?”. La chiave per educare è farsi tutte le mattine questa domanda». E per provocarci in preparazione a questo incontro ha scritto ai membri del Direttivo: «Ma noi (genitori) cristiani, crediamo ancora nella capacità della fede che abbiamo ricevuto di esercitare un’attrattiva su coloro che incontriamo (il nostro coniuge e i nostri figli) e nel fascino vincente della sua bellezza disarmata?».
Daniela, la nostra amica che guida il Gruppo Adozione ha raccolto alcune domande e questioni emerse fra di noi e nei nostri gruppi in Regione e pensavamo di partire proprio dalle circostanze e impostare l’incontro come un’occasione di dialogo, mettendo quindi a tema la realtà, spesso faticosa, del nostro quotidiano, e le difficoltà che viviamo con i figli accolti, ma anche naturali, specialmente se adolescenti.
L’incontro è quindi iniziato su queste basi ed il dialogo tra le famiglie è stato, come sempre, schietto ed edificante.
Paola Jannon