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L’audacia della famiglia

“Per sperare bisogna aver ricevuto una grande grazia”. Racconti dalla cocomerata di venerdì 12 luglio a Cesena

Metti una sera d’estate, sopra la città, con tutte le sue luci accese fino al mare. Un presepe: il luogo dove Dio nasce e si fa accogliere in una capanna, da un’umile famiglia. Siamo ospiti dei cappuccini, un luogo semplice e bellissimo.

Chissà se tutta questa gente è venuta più per il cocomero o perché attratta dal titolo provocatorio:  “Per sperare bisogna aver ricevuto una grande grazia – L’audacia della famiglia”.

Ma di quale famiglia parliamo? Di quale speranza? Di quale grande grazia?

Ce lo dicono subito di coniugi Maria Grazia e Simone Fonti.

Sono stati sposati per 6 anni senza avere figli e piano piano, mentre vedevano gli amici crescere la prole, loro si sono aperti ad una speranza nuova: quella dell’affido. Sono 4 i bambini che hanno accolto a casa loro nel corso del tempo, fino all’ultimo di 9 anni, che probabilmente rimarrà con loro. Gli altri se ne sono andati, ritornati dalle loro famiglie naturali. Eppure hanno mantenuto il desiderio di non perdere quel posto in cui hanno visto un bene per sé. “Tu te ne andrai un giorno”, dice Maria Grazia ad uno dei figli accolti in affido. “Sì, ma posso tornare?”, risponde il figlio. “Certo, ogni volta che vorrai”.

Ma come si fa ad essere così liberi, come si fa a non possedere, come si fa a sperare un bene per sé in questa condizione in cui i legami che uno desidera essere i più forti, si spezzano continuamente?

Maria Grazia risponde raccontando di un’esperienza grande di grazia, di dono quotidiano, che costantemente vivono lei ed il marito. Un’esperienza che le ha fatto capire il significato di parole che altrimenti non avrebbero avuto senso. Parole grandi come “sacrificio”, “miracolo”, “responsabilità”. Infatti, se le parole non diventano carne, se non si possono raccontare con l’esperienza, allora non hanno senso ed è inutile ripeterle. Se, invece, parole come sacrificio, miracolo, responsabilità si incarnano in un’esperienza di bene, allora fondano ogni giorno la speranza di poter sperimentare quella pienezza in un modo ancora più forte.

Ma qual è allora la grazia che bisogna aver ricevuto per sperare?

 

Ce lo raccontano Chiara e Paolo Chierici.

Paolo e il fratello gemello sono gli ultimi di 8 fratelli, la cui madre muore qualche mese dopo averli dati alla luce. Il padre, in grave difficoltà, li affida ad un istituto della città che accoglie bambini che hanno bisogno di una famiglia. E’ da lì che i fratelli vengono accolti da una famiglia, cresciuti e sostenuti anche nel momento in cui anche il padre naturale di Paolo muore in circostanze tragiche. In tutto questo, Paolo inizia sorprendentemente a intravedere un bene grande accaduto nella sua vita, che gli si svela soprattutto nell’incontro con il movimento di Comunione e Liberazione. Quando poi incontra Chiara e i due si sposano, Paolo porta con sé il desiderio di restituire ad altri l’esperienza vissuta.

Ma Chiara resiste, non è convinta. E nel frattempo arrivano i figli naturali; prima uno, poi due e poi tre.

Il Signore, però, rimane fedele, ascolta il desiderio di Paolo e guarda al cuore e alla libertà di Chiara.

Come il Dio del profeta Elia, inizia a sussurrare alle orecchie di Chiara come una brezza leggera. Così un giorno, in spiaggia, Chiara incontra Deniel, un bambino congolese arrivato in Italia attraverso vicende fortunose. Chiara si appassiona alla sua storia e decide di dare una mano alla donna che lo aveva portato via dall’Africa per salvargli la vita. Fa in modo che Deniel frequenti la scuola in cui lei insegna, facendogli ottenere una borsa di studio, e gli riserva uno sguardo speciale tra tutti i suoi alunni.

Poi la donna che ospita Deniel si ammala gravemente e Deniel deve cercare un’altra famiglia che lo accolga. Ma anche qui il cuore di Chiara resiste e Deniel viene accolto da una famiglia di amici della comunità di CL. Purtroppo anche questa sistemazione non è ancora definitiva e di nuovo Deniel è alla ricerca di un altro posto che lo accolga.

Così vengono interpellati Chiara e Paolo. Ed ecco dunque che quel sussurro di vengo leggero raggiunge ancora Chiara, che però adesso ha un dubbio serio sulla loro capacità effettiva di accoglienza: Deniel ha già ‘fallito’ 4 tentativi di accoglienza, se anche il loro fallisse, che cosa ne sarebbe di lui? E gli altri figli? Come accoglierebbero Deniel, così diverso, così bisognoso di attenzioni e di specifiche cure mediche?

Soprattutto il figlio più piccolo, della stessa età di Deniel, sembra poi non volerne sapere di accogliere in casa un “concorrente”. Eppure, neppure può pensare di rifiutargli un bene che lui stesso ha ricevuto gratuitamente: “Vabbè, dai, se deve dormire sotto un ponte, allora facciamolo venire a casa nostra …”

Così, una brezza leggera spalanca la porta di casa e con Deniel fa entrare una possibilità nuova e diversa di fare famiglia.

Chiara capisce adesso quello che la sua amica Luciana le aveva detto da sempre. E’ assolutamente vero che nel fare accoglienza c’è solo da guadagnare.

 

Ma la serata non finisce qui, perché i racconti ascoltati finora sembrano riguardare vite “fuori dal comune”, in un certo senso sono esperienze di accoglienza straordinarie. Eppure, anche il quotidiano può diventare eroico, quando l’altro, proprio quello che abbiamo più vicino, viene accolto e abbracciato, come si accoglie Cristo che si dà nell’Eucarestia.

E’ la storia di Manuela e della sua mamma, morta qualche tempo fa dopo una lunga malattia.

Manuela, figlia unica, si trova a dover accudire la mamma da sola, senza più avere spazi per sé.

In questo momento, la domanda di senso si fa più profonda e acuta. Diventa un grido da rivolgere prima di tutto a suo marito Piero che già aveva assistito al padre, e a tutta la compagnia del movimento di Comunione e Liberazione a cui lei appartiene, l’occasione per verificare se quello che ha sentito dire nel tempo da questi amici è veramente vero.

Così subito si imbatte, con sorpresa e stupore, nella riflessione di don Camisasca, che inizia a fondare da subito il rapporto con sua madre:

“Chi è l’anziano?”, ma Camisasca la traduce così: “Che cosa vuole dire Dio alla nostra vita attraverso la presenza degli anziani?”. E poi due frasi significative dal Vecchio e Nuovo Testamento per comprendere quale sia il sacrificio che viene chiesto all’anziano: “Nudo sono venuto sulla terra e nudo la lascerò” (Giobbe 1, 21) e “Non abbiamo portato nulla sulla terra, nulla porteremo via” (I Tim. 6, 7), cioè, spiega, “veniamo al mondo bisognosi di tutto e poco a poco riacquisiamo, purtroppo in modo generalmente drammatico, l’esperienza di essere bisognosi di tutto. E in questo totale essere consegnato a un altro sta in fondo il grande insegnamento della vita dell’anziano”. Come stare dunque di fronte all’anziano? “Stare, e basta. È la cosa più grande che si può fare. Imparando ad affidare queste persone a Dio”.

Da qui parte quindi una compagnia più stretta con altre persone della comunità che vivono la sua stessa esperienza con i genitori anziani.

Nella compagnia nata negli anni difficili del Covid, Manuela inizia a maturare uno sguardo di tenerezza verso la madre che si sta avviando verso la casa del Padre. E in questo cammino, nelle domeniche passate insieme alla mamma, perché la badante aveva il suo giorno libero, Manuela riceve a casa il ministro dell’Eucarestia che porta la comunione. E quando il SS. Sacramento arriva in casa, la tavola della cucina diventa altare e Cristo viene a farle compagnia proprio lì, in quel posto così nascosto e umile. Ed è Lui che la accoglie e si fa accogliere in casa, con tutti i nostri limiti e ci dona la Sua pace nelle vicende quotidiane e in mezzo alla nostra pochezza.

 

Piero ricorda il padre nell’ultimo periodo della vita : nel prendersi cura del padre, nel fargli la barba e i capelli, Piero riflette e pensa a che cosa possa essere utile una vita così, una vita che si spegne.

Fra i vari pensieri, gli torna alla mente l’immagine dei nipoti che entrano  in casa per andare a trovare la nonna e la guardano con tanto affetto. Perché tanta attenzione dei bambini nei confronti di una anziana donna?

E poi, un’altra osservazione: durante il centro estivo, la scuola aveva organizzato delle giornate con alcuni anziani. E lui li aveva visti: anche in quell’occasione Piero aveva osservato come i bambini erano attratti dagli anziani, chiunque essi fossero.

Forse è dopo che questo sguardo si corrompe; ma in quel momento, quando sono più innocenti, i bambini guardano gli anziani. Chissà com’è…

Forse è la vita che si lega alla vita. Forse è la pienezza della grazia ricevuta con la vita che si lega alla speranza di chi si accinge a raggiungerla nella sua forma più piena, a cominciare da qui, ora e per sempre.