I ragazzi in affido si raccontano
A conclusione dell’anno sociale, il 16 giugno 2023, il gruppo affido di Bergamo ha incontrato due ragazzi che hanno vissuto l’esperienza dell’affido.
N. ed A. , entrambi poco più che ventenni, hanno accolto volentieri il nostro invito, raccontandosi con molta libertà e disponibilità.
Due storie di vita differenti, ma accomunate dalla ricerca costante di un bene possibile all’interno del proprio percorso.
N. nasce in una famiglia “dove i genitori hanno incasinato sempre il più possibile” e si trova a vivere fin da bambino in diverse comunità; vive come “ingiustizia” il fatto che altri (i Servizi Sociali) scegliessero per lui fino a che, crescendo, sente il bisogno di stare in una famiglia e così, all’età di 16 anni, inizia il suo percorso di affido familiare.
A., invece, nasce da una mamma sola e con difficoltà economiche; pertanto, i Servizi Sociali dispongono per lei il collocamento in affido: una prima famiglia all’età di quattro anni, ed un trasferimento in una seconda famiglia verso i sette anni.
A. tuttora vive con la sua famiglia affidataria, mentre N. a 18 anni è rientrato nella sua famiglia di origine.
Come racconta N., l’affido è stata per lui la possibilità di avere una stabilità e un “posto tranquillo“, dove poter trovare “ritmi più lenti e uno spazio di dialogo e comunicazione”, sia con i genitori affidatari che con i fratelli .
E anche ora che è rientrato nella sua famiglia di origine, N. sa che da Max e Maura può sempre tornare: l’affido è una famiglia che continua e che ti sostiene anche dopo. Fino al punto che, racconta alla fine N., “oggi io ho ancora dei problemi ma ho tante persone vicine e sono contento: questo mi ha permesso di perdonare mio padre e di essere disposto ad aiutarlo per come posso perché, nonostante tutti i casini che combina, è una brava persona”.
Nel suo racconto, N. ha più volte comunicato l’importanza di poter accogliere in affido non solo i bambini ma anche gli adolescenti ed ha ribadito il desiderio di una maggiore sensibilizzazione sul tema dell’affido perché, a suo dire, “la gente comune ne sa poco o nulla”.
Anche nelle parole di A. si afferma che “affido uguale vita” perché, se da una parte la mamma naturale ha riconosciuto il bisogno di un aiuto per sé e per la figlia, dall’altra parte i genitori affidatari hanno cercato sempre di mantenere buoni rapporti con la famiglia di origine. Questo ha permesso ad A. di tenere insieme le due appartenenze e di crescere serena, fino a riconoscere che “la vita è andata avanti attraverso una quotidianità normale”. Ora che è una giovane adulta, A. continua a vivere nella famiglia affidataria ma mantiene vivo anche il rapporto con la madre naturale.
Ascoltare il racconto così sincero di questi due ragazzi ha restituito a me, mamma affidataria, la bontà di quanto stiamo vivendo ora nella nostra casa.
N. ed A. ci hanno testimoniato che è possibile perdonare la propria storia, seppur a volte ancora così dolorosa. E che si può passare attraverso le ferite che l’affido inevitabilmente comporta, per trovare la propria strada e farne dono agli altri, come in questa occasione.
Nadia