Nell’accoglienza diciamo un sì dentro la nostra fragilità
Che cosa rispondere ad un figlio adottato che chiede della propria storia? Come far fronte ad un adolescente in affido che non intende avere alcun rapporto con la famiglia che lo accoglie? È possibile aprirsi di nuovo all’accoglienza dopo un’esperienza negativa? Come si riesce ad essere una famiglia accogliente con tutto quello che la vita quotidiana e un lavoro impegnativo chiedono ai genitori?
A partire da queste domande si è svolto il dialogo con Marco e Licia Mazzi (nella foto), invitati alla giornata di convivenza dell’Associazione in Toscana domenica 26 marzo, che ha messo ha tema il Filo rosso. La traccia di lavoro di quest’anno parte da un’apparente contraddizione: attraverso la nostra debolezza, la forza di una testimonianza. Che fa eco alle parole di Gloria e di suo marito Jordi, in occasione dell’incontro delle famiglie con il Papa (leggi): “Non è la nostra forza che accoglie, ma la nostra debolezza”.
“Un’affermazione strana e paradossale, ma l’ho vista accadere nella mia esperienza, dalla prima accoglienza 40 anni fa fino a quella di nostro figlio, arrivato neonato a casa nostra in affido – ha detto Marco – Nell’accoglienza diciamo un sì dentro la nostra fragilità, che vuol dire sapere di non essere adeguati a quelle particolari situazioni e, nello stesso tempo, coscienti che non ci è chiesto di essere diversi da come siamo”. Fare esperienza della propria fragilità ci apre all’umiltà, a chiedere aiuto e a camminare insieme, alla corresponsabilità nella nostra strada.
“La fragilità può avere due accezioni: c’è qualcosa di fragile perché prezioso, che quindi va custodito con cura e attenzione. Se pensiamo ai nostri figli accolti lo capiamo bene – ha detto Licia -. Ma c’è una fragilità di cui invece abbiamo paura a parlare, quella che sperimentiamo davanti alle difficoltà. Eppure proprio la fragilità rappresenta l’occasione per vedere che quell’accoglienza, quella mia apertura si realizza in modo diverso da quello che ho immaginato; la mia fragilità diventa domanda”.
In questo mondo “prestazionale” in cui ci viene chiesto di essere in grado di risolvere i problemi, “portiamo qualcosa di cui c’è davvero bisogno – ha detto ancora Marco – cioè l’esperienza della gratuità. Non una ‘prestazione’, ma un abbraccio che abbiamo ricevuto. Ed è così che tante persone, misteriosamente e magari in silenzio, salvano il mondo con il loro sì”.