Uno sguardo che risana le ferite
Pubblicata sul settimanale della Diocesi di Alessandria un’intervista che racconta la casa-famiglia Fontana vivace di Genova. Le parole di Marta, una giovane donna accolta per qualche mese nel corso del 2016: un incontro che lascia un segno, che la fa sentire di nuovo ‘figlia’, in modo inaspettato.
L’articolo che segue è tratto da La Voce Alessandrina – a firma di
Marta si laurea brillantemente in Lettere moderne. Vince un progetto dell’Unione Europea per assistente di lingua italiana in una scuola estera, e finisce in Spagna. È il novembre del 2013. Tutto perfetto. O quasi. “Per me andare all’estero è stato un po’ come riaprire un personale ‘vaso di Pandora’. Nel senso che stavo per andare incontro a tanti miei fantasmi del passato”. Fantasmi che si erano già manifestati con particolare virulenza un anno prima, quando dopo aver vinto una borsa di studio Marta finisce in America. Ma dopo un mese ritorna a casa. “Mi sono sentita dentro a un incubo”.
Quell’incubo, la “bestia”, non ha ancora un nome. Marta va da un neurologo. “Dopo la visita, mi scrive qualcosa su un foglio e lo gira verso di me. C’era una sola parola: depressione”. Poi è la volta del neuropsicologo. “È stato la mia prima salvezza, sia per la grande competenza che per il lato umano”. Marta va in terapia per un anno e le cose migliorano. La depressione, la “bestia”, si acquieta. A questo punto parte per Madrid. Trova una tutor, che diventa la sua migliore amica. “Quando sono arrivata, era in aeroporto ad aspettarmi. Mi portava a scuola al mattino, e tutti i pomeriggi mi chiedeva com’era andata la giornata”. Finito l’anno, la scuola chiede a Marta di rimanere come insegnante di sostegno.
Lei accetta, ma nell’ottobre del 2015 la “bestia” si risveglia. La scuola le concede un periodo di malattia, e Marta torna a casa. “Mi sono messa a pregare e ho ripreso i contatti con lo psicoterapeuta. Era chiaro che dovevo ritrovare me stessa, la mia integrità, ma capivo di dover uscire dal mio ambito”. E così Marta segue il suggerimento di un’amica e si ritrova ospite della “Fontana vivace”: tre famiglie, con figli, che a un certo punto della loro vita vanno a vivere insieme in una casa all’interno del complesso delle Suore Marcelline a Genova. Qui accolgono minori in affido e mamme in difficoltà. “E in quel momento” dice Marta, commossa “hanno accolto anche me”. Appena arrivata, però, non è contenta.
“Mi sentivo come si può sentire una ragazza di 27 anni a casa di estranei. Nessuno però mi stava addosso: c’era questo turbine di bambini che, curiosi per la novità del mio arrivo, mi prendevano per mano e mi portavano a scoprire la casa. Era una compagnia. Durante il giorno stavo con Laura, moglie di Luca, e mi prendevo cura di una bimba bellissima, Lucia, che al tempo aveva due anni appena”. Laura e Luca, la famiglia che la ospita, si fidano subito di Marta. “Dopo qualche giorno Laura mi dice di portare Lucia a fare un giro nel passeggino.
Una fiducia che io non attribuivo neanche a me stessa”. E il loro primogenito, Andrea, cede a Marta la sua stanza, senza lamentarsi. Nell’aprile del 2016 Marta, Laura e Luca decidono insieme che lei è pronta per tornare in Spagna. Ma che cosa ha guarito Marta? “Innanzitutto gli sguardi. Lo sguardo di una mamma come Laura e lo sguardo di una bambina come Lucia, che nei miei momenti più bui mi metteva la manina in faccia dicendo: ‘Marta, sei bellissima!’. E un giorno mi ha anche detto: ‘Giulia, tu sei mia sorella’. Io, che mi ero sempre chiesta quale fosse il mio ruolo in quella famiglia, mi sono dovuta arrendere all’evidenza.
E poi c’è stato l’affetto di un padre come Luca, che vedevo solo la sera ma che riusciva a essere sempre lì per tutti. Luca, che un giorno mi ha detto: ‘Anche se te ne andrai, tu rimarrai sempre con noi’. E Michael, Christian e Karol, che mi hanno accettato subito in casa. E Virginia, Vana, Silvia, e tutti gli altri di ‘Fontana vivace’. Prima ero figlia unica, adesso ho un sacco di fratelli e sorelle. Che non mi hanno mai lasciata sola”.
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