«Govindo, il dono di Madre Teresa». La testimonianza di Marina Ricci a Verona
Domenica 29 gennaio l’incontro sul figlio gravemente disabile avuto in dono da Madre Teresa e dalle sue suore
Sono molti ormai a conoscere la storia di Govindo, il ragazzino indiano gravemente disabile adottato dai coniugi Ricci di Roma all’età di sei anni e poi vissuto per dodici anni con la loro famiglia fino alla morte, sopravvenuta nel 2010. Ora è in libreria Govindo. Il dono di Madre Teresa, il libro scritto da Marina, la madre adottiva, e pubblicato nel 2016 dalle edizioni San Paolo.
Quello che non torna però, nella storia di questo libro, sono le date. Perché aspettare sei anni dalla morte di Govindo per raccontare la sua storia? Oltretutto, stando a quanto ha raccontato Marina domenica 29 gennaio a Verona a un incontro regionale delle Famiglie per l’Accoglienza, la forbice temporale è ancora più ampia. «Tutta la prima parte del libro l’ho scritta nel 1998», racconta, «poco dopo l’ingresso di Govindo nella nostra famiglia». Una storia troppo particolare per non dover fissare luoghi, date, dettagli. Una vicenda che comincia due anni prima a Calcutta, dove Marina si trova come vaticanista del Tg5 per preparare un servizio su Madre Teresa. Un susseguirsi di eventi che non si riesce proprio a definire causali. «In quei giorni Dio mi ha teso uno dei peggiori agguati», racconta la giornalista. Cioè rifarsi presente, in una vita ormai segnata da abitudine e cliché, attraverso il volto di un esserino tutto pelle e ossa, che chiedeva («ma siamo tutti fatti così») una sola cosa: di essere voluto bene.
Di qui, una volta rientrata in Italia, l’esigenza di Marina di fissare fatti e situazioni in un quaderno. Destinato però a rimanere in un cassetto. Anche dopo la morte di Govindo. Nel 2010 i figli le chiedono di raccontare la storia, di completare il racconto di questo fratello minore, che senza poter far nulla era diventato il centro della famiglia. «Io però non l’ho fatto, non sarei stata in grado di scrivere neanche una riga, ero troppo abbattuta per quello che era successo. Ci sono voluti due anni per riprendermi». Finché le Missionarie della Carità, con cui Tommaso e Marina sono sempre rimasti in contatto, non si fanno avanti. In vista della canonizzazione di Madre Teresa, insistono che sarebbe importante raccontare la storia di quel figlio regalato.
Dopo molte insistenze Marina accetta, nel luglio dell’anno scorso il libro esce, e da allora per lei cominciano le telefonate, gli inviti, i viaggi in tutta Italia. Come avviene a Verona. «Per me è strano essere qui a parlare a persone come voi delle Famiglie per l’Accoglienza, ognuno di voi potrebbe raccontare cose altrettanto grandi», dice. «Ma io qui ci sono come spettatrice, perché questo libro cammina per conto suo, non è qualcosa che mi appartiene. Se c’è una cosa che ho imparato è che Dio fa quello che gli pare, quando gli pare e usando di quel che gli pare».
«Vogliamo aiutarci ad un giudizio, a capire come le testimonianze che incontriamo sono legate a quello che il Signore sta facendo accadere nella nostra vita, vogliamo aiutarci in una consapevolezza», dice Silvia Blecich introducendo l’incontro. Marina risponde raccontando di persone che di fronte alla storia di Govindo si sono commosse, confessate, che hanno condiviso con lei aspetti intimi e delicati della loro vita. «Non è più solo la storia di un’adozione, ma di come Gesù Cristo ha incontrato la mia vita. Per me è incredibile, io sono la stessa persona con gli stessi difetti di prima, mi sento cattiva come prima, ma capisco che attraverso la nostra storia, drammatica, bellissima e misteriosa, vissuta in larga parte con incoscienza, il Signore si fa incontrare».
Proprio come avveniva con Madre Teresa, anche se il paragone sembra sproporzionato, o presuntuoso. «Ma pensare che i santi siano lontani è un alibi», precisa Marina, «per sottrarci a una domanda posta alla nostra vita». E non ricordare che, come recita la lettura della Messa che chiude l’incontro veronese, Dio ha puntato di proposito su ciò che è considerato stolto, debole, ignobile e disprezzato, «perché nessuno possa vantarsi di fronte a lui».
Eugenio Andreatta
Alcune immagini dell’incontro