Un prezioso compagno di cammino
C’è una sorta di affinità elettiva che ha sempre legato lo psichiatra Eugenio Borgna a Famiglie per l’Accoglienza. Alcune tra le parole, che lui amava definire creature viventi, che fondano i suoi scritti e la nostra opera sono le stesse: speranza, mistero, carità, fragilità. Come non trovare assonanza tra alcune sue esperienze che si rifanno a queste parole e il Filo rosso che ogni anno guida i passi dell’associazione? Commuove – muove il cuore – riconoscere in lui un prezioso compagno di cammino leggendo la breve intervista a commento della biografia di don Giussani che, oltre a sottolineare la profondità umana e spirituale dell’amico, occupa quasi la metà dello spazio dedicatogli per descrivere il racconto che don Giussani fa dell’associazione Famiglie per l’Accoglienza: «Sono le parole sulla ospitalità, sulla accoglienza, sulle famiglie per l’accoglienza, una delle testimonianze più alte e profetiche del magistero di don Giussani: l’accoglienza come immedesimazione».
Non diceva mai di no quando gli si proponeva di partecipare ad un evento, non importava quanto fosse rilevante, l’importante era chi glielo chiedeva.
Nel 2007 l’associazione Famiglie per l’Accoglienza organizzò un convegno per festeggiare i venticinque anni dalla sua fondazione. Tra i relatori spiccava proprio il nome del prof. Eugenio Borgna che, a braccio come suo solito, ci parlò di solitudine, estraneità e smarrimento, mettendo in luce come questa condizione dell’uomo fosse totalmente abbracciata dall’accoglienza. [La foto in alto si riferisce a questo evento].
Spesso nei suoi interventi pubblici il prof. Borgna, introduceva chi lo ascoltava all’importanza della scelta delle parole e della potenza salvifica o mortifera che potevano avere.
In quell’occasione ci aiutò a comprendere meglio il significato della nostra esperienza che definì «una sfida alle convenzioni, ai modelli di vita oggi dominanti, e che comunque si fa portatrice, direi, di quella Speranza che non può essere certo identificata con le speranze». Da uomo profondo e geniale quale era ci suggerì di salvare nel nostro cuore le parole di Etty Hillesum, morta in un campo di concentramento, per meglio ascoltare i bambini accolti nelle nostre famiglie così carichi di dolore.
In maniera profetica per quegli anni, ci indicò come la torcia sempre accesa della speranza potesse essere riconsegnata alle famiglie d’origine e coglierne gli aspetti di aiuto: «E forse in una “famiglia per l’accoglienza” avviene anche questo mistero, l’infinito di custodire per sé una speranza, forse la più alta, per donarla poi a chi – famiglia originaria – l’aveva perduta. (…) Sapere testimoniare la speranza che vive in noi a coloro che l’hanno perduta, è una delle esperienze più straordinarie, più nobili a cui possiamo guardare». Nel suo breve intervento ci ha lanciato una sfida che oggi viviamo certo con maggior consapevolezza anche grazie a lui.
«La sfida è che nel cuore di una famiglia rinasca la speranza generata da questa accoglienza, che ha in sé questo fondamento etimologico profondo, che si apre a orizzonti infiniti, che ci aiutano forse a cogliere, a vedere qualcosa dell’infinito del Mistero».
Ci lascia una immensa eredità di scritti ricchi della sua profonda esperienza umana di psichiatra forgiata, smussata, illuminata da poesia, letteratura e filosofia, ma soprattutto da incontri con le diverse umanità che a lui si sono accostate e che certamente lo porteranno sempre nel cuore.
(Simona Sarti)