Accoglienza ad alta quota
Un gruppo di famiglie del Tigullio, in vacanza nella splendida Val Badia, ha invitato il Presidente di Famiglie per l’Accoglienza Luca Sommacal per dialogare sul tema: “accogliere la realtà”. Altri amici hanno portato, insieme a lui, il racconto delle proprie esperienze.
Michela, neuropsichiatra infantile, ha raccontato che fin da ragazza era incuriosita dalle famiglie in cui “c’era un piacevole casino e si respirava aria buona”: un’ apertura naturale alla vita che l’ha portata ad accogliere il dono di sette figli e quello di tanti pazienti disabili e psichiatrici da ascoltare e accompagnare.
Come primo dato è emerso il fascino dell’accoglienza, non come una cosa da fare che ci rende più bravi di fronte agli altri, ma come un’esperienza desiderabile per sè. Perchè solo se ci si sente amati e voluti così come siamo (a volte anche se impossibilitati ad esprimerci) è possibile accogliere gli altri in famiglia e nel lavoro.
Vittorio, da poco diventato vedovo, ci ha confidato che l’accoglienza in casa sua l’aveva fatta sempre sua moglie. Dopo la scomparse della moglie, si è reso disponibile alla richiesta di un’amica per allestire una mostra, e ha visto che dire sì alle cose che capitano nella vita è possibile perchè c’è sempre qualcuno vicino (i figli, gli amici, le persone che incontri nella giornata) che indica il cammino anche nei momenti più confusi.
Carlotta ha condiviso la sua esperienza di accoglienza di una famiglia ucraina, rivelando le difficoltà di comunicazione e le diverse abitudini culturali: di fronte a questa naturale diversità è nato il desiderio di non scandalizzarsi più della fragilità dell’altro e anche del limite proprio.
E’ sorta una domanda: come accogliere tutta la realtà e non solo i piccoli pezzi che vorremmo?
Francesco ha raccontato come nel suo lavoro in cantiere tutto acquisti vivezza quando egli esce di casa con una domanda ed un’attesa, e di come il dialogo e l’ascolto del cliente lo aiutino ad affrontare gli imprevisti.
Luca Sommacal ha suggerito che la prima cosa da fare è l’accoglienza di se stessi e dei propri limiti, perchè andiamo bene così come siamo. Proprio riportando l’esempio di suo figlio adottivo ha verificato che la ferita di un figlio – che si chiede tutti i giorni perchè é stato abbandonato – è la stessa di un genitore che si chiede tutti i giorni il perchè della sua sterilità.
Ci sono in ognuno di noi dei dolori “irrisolvibili”, ma l’abbraccio delle persone a noi vicine ci aiuta a camminare con speranza.
Tante famiglie giovani che hanno conosciuto in questa occasione l’Associazione Famiglie per l’Accoglienza hanno chiesto di poter rincontrare Luca per dialogare ancora con lui.