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Una frase stampata sulle magliette: “Casa è dove sei amato”.

Il racconto della convivenza del 26 giugno del Gruppo Affido Milano.

Spesso le feste di fine anno sono un tributo, più o meno gravoso, ma la Convivenza che il Gruppo Affido ha vissuto il 26 giugno alla Casa San Giuseppe di Bustighera è stata davvero una festa: non ci siamo riuniti perché abbiamo fatto qualcosa insieme ma perché eravamo davvero insieme.

Anche con chi non si conosceva ancora si è da subito creato un clima allegro e disteso, forse per la simpatia delle famiglie che ci hanno accolto, per la bellezza della loro casa, o per Simba, il cagnone buono che scodinzolava a tutti. Chi fa affido da anni, chi ha cominciato da poco, chi ha fatto il corso e inizia ad immaginare una possibile accoglienza e chi è stato semplicemente affascinato da qualcuno e vuole capire meglio di cosa si tratta; chi si conosceva da anni, chi si vedeva per la prima volta; tutti eravamo grati della calda ospitalità di cui eravamo oggetto, l’ospitalità che desideriamo anche nelle nostre famiglie, e questo toglieva ogni estraneità.

La messa insieme, il pranzo nel saloncino dell’oratorio e poi la chiacchierata con Laura e Dario, Giorgio e Titti, le due famiglie che da una decina d’anni accolgono ragazzi nella Casa San Giuseppe, una vecchia canonica ristrutturata per diventare la dimora adatta alle dimensioni del loro cuore. Ci hanno raccontato la loro storia semplice ed eccezionale al contempo: il desiderio di accogliere, le proposte diverse dalle aspettative ma sempre quelle giuste, l’amicizia fra di loro, il sogno di un’accoglienza più grande, la proposta della casa fatta da un amico prete, le difficoltà dei soldi, dei permessi, del fallimento dell’impresa costruttrice, gli affidi difficili, le mille problematiche, ma sempre con l’aiuto dalla Provvidenza. E di san Giuseppe, che ha assicurato il suo particolare sostegno tramite una sua statua che da Perugia è giunta fino a Bustighera.

Sollecitati dalle nostre domande han raccontato delle difficoltà che a volte son sorte con i loro figli, per la convivenza faticosa con alcuni ospiti, che però, nel tempo, anch’essi hanno iniziato a considerare dei fratelli. Non hanno nascosto che anche la diversità fra di loro, tanto tranquilli e discreti i primi quanto chiassosi ed espansivi i secondi, ha creato a volte degli attriti, che però, anziché allontanarli, li ha aiutati a riconoscere l’essenziale del loro rapporto e ad esserne grati
senza dare per scontato nulla.

L’accogliersi anzitutto fra marito e moglie, con i figli e fra le due famiglie è ciò che ha permesso e permette di accogliere i ragazzi che via via sono arrivati e tuttora arrivano: da questa prima accoglienza fra di loro sgorga l’energia ed emerge il giudizio che, nel tempo, hanno creato un luogo che ora ha anche una sua definizione, stampata sulle loro magliette: casa è dove sei amato.

Con la semplicità delle storie che ci hanno raccontato ci hanno resi partecipi del cammino che li ha portati dalla generosità alla gratuità. All’inizio erano mossi dal desiderio di aiutare dei ragazzi in difficoltà cercando di risolvere i loro problemi, ma nel tempo hanno imparato che ogni ragazzo è un mistero, che non lo si può smontare e rimontare nel tentativo di aggiustarlo, e per accogliere lui si deve accogliere tutto di lui e della sua storia: le debolezze e le doti, i desideri, il temperamento, la famiglia d’origine, …; e accogliere significa accompagnare proprio lui, con la tenerezza di una madre ed un padre ma anche con il rispetto del migliore amico.

Ad un ragazzo portato dai carabinieri che appena arrivato ha detto:”Tanto scappo anche da qui!”. Giorgio tranquillo ha risposto: “Va bene, però prima fatti una doccia, cena con noi e poi, se vuoi andare dimmelo che ti do 10euro per il pullman. Però sappi che io dopo devo telefonare ai carabinieri,” Ed è rimasto 4 mesi. Da un altro, un marcantonio che ne combinava di ogni, Titti si è sentita chiedere: “Mi canti una ninnananna, per favore?” E lei gliel’ha cantata per farlo addormentare.

La bimba arrivata da Laura e Dario appena nata, dopo 2 anni in cui le hanno insegnato a camminare, a parlare ed era la coccola di tutta la casa, è andata dai nonni. Un distacco molto doloroso ma “quando vedo che lei è contenta son contenta anch’io – ci ha detto Laura- È così anche per i nostri figli che crescendo se ne vanno, quel che conta non è che si soffre ma che sia per un bene”.

Ci siamo lasciati colmi di gratitudine per la Casa San Giuseppe, desiderosi di esser sempre più dentro questa storia che da 40 anni genera famiglie così e grati all’Associazione che rende stabile e incontrabile questa esperienza.