Accogliamo? Si, ma non da soli.
L’incontro del 2 aprile si è aperto all’insegna di un messaggio che si trova all’inizio del libro il Miracolo dell’Ospitalità. Una lettera che il servo di Dio mons. Luigi Giussani scriveva a Famiglie per l’Accoglienza anni fa: “Cari amici, il vostro esempio illumina per me la strada del futuro: una familiarità o fraternità che si apre in un abbraccio senza remore. Così vi raccomando di non smettere mai di accogliere il gesto di Cristo coi bambini che incontrava. Se Lui, il Signore si è chinato sui più piccoli per segnare la strada ai grandi, voi che fate lo stesso siete resi segno di una novità che come onda si dilata di famiglia in famiglia, dalla più prossima alla più lontana, in un movimento che è inizio di una società più umana …. “
Il tema dell’ospitalità è sempre più attuale in questi tempi di guerra in cui stanno arrivando tanti sfollati dall’Ucraina e alcuni tra i presenti hanno già dato la disponibilità ad accogliere in casa mamme con bambini.
Ma cosa possiamo donarci scambievolmente, se non la testimonianza di ciò che viviamo nella nostra esperienza di accoglienza?
Inizia Antonello: “Quando uno si muove di fronte a un bisogno non ci pensa così tanto” spesso infatti si apre casa per una disponibilità di cuore grande, ma poi ci scontra con la diversità dell’altro. “All’inizio del nostro matrimonio abbiamo aperto la porta di casa a un ragazzo già grande; ci era sembrata una accoglienza andata male, ma era come prevalsa la nostra pretesa di sapere di cosa aveva bisogno, invece di accoglierlo così come era. Guardavamo solo ciò che ci sembrava giusto” poi col tempo, dentro una compagnia, si inizia a donare quello che si ha senza tornaconto.
Anche Pia racconta delle tante persone che hanno bussato alla loro porta di casa e che per aprire la porta occorre capire Chi è che realmente sta bussando. “Non è sempre stato tutto facile e non sempre tutto è chiaro. Ma occorre pensare a chi mi sta chiedendo di entrare. Uno apre per un pranzo, una cena o per un letto di una notte, ma chi bussa è l’angelo del Signore. Se non ho chiaro che chi bussa è Gesù, la mia porta non l’aprirei e vivrei un di meno. Questo vale anche quando arrivi a dire di no, perché dobbiamo ricordare sempre che il mondo lo salva un Altro” e occorre sempre valutare se un’accoglienza può essere un bene per la tua famiglia oppure no, anche rispetto al proprio vissuto e allora “io ti dico non posso, metto davanti a Te questa mia povertà e so che la metterai a frutto. Ma posso collaborare in un altro modo: fare la spesa per chi non può, stirare o prendere i bambini all’asilo è il mio modo per collaborare con chi accoglienza. Ad ognuno il Signore chiede in ogni momento una cosa diversa”.
Pino racconta invece della loro esperienza di accoglienza di un bambino bielorusso in estate “all’inizio pensavamo di dare la disponibilità con riserva, ma poi ci siamo detti o è si o è no. E’ stata una esperienza fantastica, perché dopo tre ore saltava già sul divano, mi ha insegnato a collegare la televisione a internet… E’ stato un altro mondo, totalmente diverso da noi, che è entrato in casa, ed ospitare gratuitamente è una cosa che non pensavamo potesse riempirci così tanto. Se me lo avessero detto prima gli avrei detto che erano matti”.
Ma per accogliere e aprire la porta di casa non si può essere da soli, come sottolinea Valentina: “di fronte a questa emergenza ci siamo guardati chiedendoci cosa potevamo fare, ma non possiamo essere da soli, come non lo siamo mai stati da quando abbiamo iniziato ad accogliere. Io non so la modalità, ma scopro che quando non si è da soli riesci a farlo, altrimenti guardi solo a te stesso e ai tuoi pensieri o limiti. Confrontarsi con chi è più avanti di noi, questa è una delle cose più belle dell’accogliere. Se sei certo che è l’angelo che bussa, non pensi di farcela con le tue forze, ma ti guardi intorno e dici non sto accogliendo io, ma accogliamo tutti”.
E’ ora il turno di amici che hanno deciso di aprire le porte di casa, rendendosi disponibili ad accogliere i profughi. Persino prima dell’arrivo degli ospiti, già dentro la sola disponibilità ad accogliere Gabriella può dire: “ Mi ha colpito da subito questo aiuto, non mi sono sentita mai sola, anche nelle difficoltà.
Dagli operai chiamati per alcune riparazioni della casa che non hanno voluto essere pagati, ai servizi sociali del comune: tutti si sono messi in gioco. Sono state tante fiammelle di bene e di speranza che solo per aver messo a disposizione la casa sono nate”.
Continua Lidia raccontando: “Per noi l’accoglienza non è mai stata qualcosa decisa a tavolino, ma sempre un rispondere a fatti che capitavano e che interpellavano la nostra libertà. Avremmo anche potuto dire di no, ma i fatti ci hanno sempre messo in movimento ed è stata una ricchezza immensa per la nostra vita. E’ stato anche un prendere coscienza del bene che c’è della nostra vita, noi siamo voluti bene da un Altro così come siamo e siamo chiamati a giocare la stessa gratuità nella nostra vita. Ma è possibile solo in una compagnia, perché da soli si va dietro al nostro progetto e si dimentica per Chi si fanno le cose. Invece, sostenuti nella ragione, non perdi di vista che stai accogliendo Gesù che viene a casa tua. Possiamo accogliere chiunque, fare tante cose sante, ma dobbiamo ricordare che l’accoglienza è innanzitutto verso l’ abisso della diversità dell’altro, e questo vale in prima istanza nel rapporto tra marito e moglie”.
Isa racconta invece delle loro tante accoglienze del passato e di come ora, dentro un dolore grande, ciò di cui ha più bisogno “è stare dentro questa storia. Ho chiesto un segno e sono stata contattata dalla Caritas per ospitare in casa degli ucraini. Mi sono stupita di vedere come un gesto di ospitalità muove tanta altra disponibilità intorno. Ho visto foto incredibili e ho pianto con loro, perché in fondo il cuore dell’uomo è uguale ovunque, perché tutti desideriamo sentirci voluti bene e abbracciati. Nell’ospitare gli altri vivo un bene innanzitutto per me e questo è già l’angelo che viene a trovarmi.”
Sefi in modo semplice dice: “se penso alla parola accoglienza mi viene in mente una immagine con le braccia aperte. Da quando ho ricevuto l’invito a venire qui ho questo immagine. Accogliere la diversità dell’altro con le braccia aperte, ma non è semplice”.
Marina racconta che “sebbene all’inizio ci sono state difficoltà la nostra fortuna è stato scoprire una accoglienza nell’accoglienza. Accogliere nostra figlia con tutto il cuore. Abbiamo tanti limiti nell’accogliere l’altro nella sua diversità”.
Stefano parla delle accoglienze vissute come dei tornado “ogni tanto mi chiedo, ma chi me l’ha fatto fare? L’accoglienza coinvolge l’equilibrio e un altro tornado lo sconvolge. Serve un grande lavoro per accogliere nella maniera migliore. Pensando alla pandemia , a tante amicizie implose o che sono venute a mancare mi chiedo: cosa può salvarmi da una situazione che diventa pesante, seppur bella? Guardando alla bellezza di Colui che l’ha creata! Ma uno potrebbe anche non guardarla. Ho visto però che una compagnia può toglierti il braccio che metti davanti agli occhi e che qualsiasi situazione si può affrontare. Cosa altro serve se non una compagnia, vissuta, alimentata, richiesta? Senza questo l’accoglienza non si può fare”.
Silvia infine raccontando della loro storia adottiva dice “La decisione di andare avanti è venuta dalla realtà. Anche nei momenti difficili gli amici mi dicevano <<sarà la realtà che ti dirà cosa vuole Dio da te>>. E’ sempre stata un compagnia che ha instradato tutto per il meglio, altrimenti non credo ci sarebbe nostra figlia. Perché se sei da solo vedi la montagna enorme, se sei insieme vedi il pendio per raggiungere la cima. La mano che conduce fa la differenza, una mano che non solo fa, ma anche prega per te e con te”.
Un incontro semplice, per non farci trovare impreparati dall’onda di bisogno che sta arrivando anche in Italia e che ha evidenziato ancor di più il proverbio africano ripreso da Papa Francesco nella Laudato Sii che dice: “per educare serve un intero villaggio”.
Ecco, la compagnia che ci facciamo nell’Associazione è questo villaggio. Un villaggio pieno di persone diverse, con storie diverse, ma anche uniche e che, come possono, aprono ogni giorno la porta di casa al Signore che bussa.