La Cresima di Ale “nei suoi bellissimi 11 anni”.
Maria Elena ci racconta lo sguardo al cammino fatto: “8 anni di storia insieme, che hanno implicato così tanti cambiamenti nelle fasi di affido che abbiamo vissuto”.
Si è svolta il 14 novembre, nella cornice meravigliosa e suggestiva della Basilica di Sant’Ambrogio, la Santa Cresima di Ale, e io con profonda gratitudine e commozione sono stata la madrina. Dopo giorni passati a cercare di capire quale fossero le indicazioni della Diocesi e quali le disposizioni, dopo alcuni dubbi e pur legittimi timori, ieri è stato evidente come quello che trionfa e corrisponde più di ogni progetto è l’Imprevisto. E’ stata una cerimonia essenziale, povera di ogni contorno di festa o condivisione. Forse proprio per questo ci ha aiutato ad essere ancora più consapevoli del profondo significato e ad essere così grati di poterla vivere insieme con Ale e tutta la sua famiglia.
Mi sono tornati davanti agli occhi questi 8 anni di storia insieme, che hanno implicato così tanti cambiamenti nelle fasi di affido che abbiamo vissuto, fino al rientro di Ale due anni fa a casa di sua mamma e la nuova forma richiesta a noi come famiglia di supporto. Ogni fase è dovuta passare attraverso una fatica ed a volte un vero e proprio dolore, ma poi è sempre stato incredibile il ritorno di umanità e di fecondità di questa storia.
E vedere ora Ale, nei suoi bellissimi 11 anni, percorrere un lungo corridoio della Basilica, e pensare a come si siano ricostruiti i rapporti nella sua famiglia di origine e di come non si sia perso il legame con noi, beh è stato davvero un moto di commozione e gratitudine immensa alla strada fatta, alla vocazione scoperta seguendo la vita della associazione Famiglie per l’Accoglienza. Ho ripensato e riconosciuto quanto Don Carron ci ha detto venerdì scorso: “Questi figli accolti vi hanno generato”.
L’ho pensato più volte in questi anni: se non avessimo accolto Ale, mi sarebbe stata preclusa questa esperienza di essere generata ad un altro tipo di maternità, misteriosa, fatta di accoglienza e di capacità di distacco, di profonda unità con la sua origine e di capacità lasciare andare. Proprio settimana scorsa ne parlavo durante una lezione in Università, con studenti di psicologia e del master in adozione e affido, e raccontavo della nostra storia a oltre 50 studenti collegati, dei quali non vedevo i volti, perché gli schermi erano spenti. Eppure, dopo la mia lezione-racconto, sono arrivate molte domande significative ed incuriosite. Ad uno ad uno apparivano sullo schermo giovani volti alcuni con la mascherina, altri senza, che mi ponevo la domanda, piena di desiderio di capire cosa permettesse di fare i passaggi descritti: la libertà nei confronti della famiglia di origine, la tenacia nel lavoro con i servizi sociali, la capacità ad interfacciarsi con tutti i soggetti di questa storia. Non è bravura, non è strategia, è vivere in modo profondamente umano, cioè vero, chiedendo aiuto, seguendo la strada della associazione, coinvolgendosi in rapporti di amicizia sempre più stringenti. E’ insomma una vita, la vita della nostra famiglia, spesso cosi imperfetta e fragile. Dentro la vita della associazione.
A tutto questo ci ha introdotto Ale, 8 anni fa, quando con i suoi meravigliosi occhioni scuri a 3 anni e poco più, è entrata nella nostra casa e nel nostro cuore. A tutto questo ci continua ad introdurre ogni volta che ritorna da noi. E riapriamo quella porta, anche in tempo di lockdown, ed ogni volta è diverso, ma sempre è potente e sovrabbondante perché è Gesù che viene per noi, per ognuno di noi, anche per i miei familiari che non credono. E’ la sua carezza alla nostra vita, cosi bisognosa e così mancante. E questa dinamica è definitiva.
Maria Elena