Quando l’istinto di cacciare il figlio diventa un abbraccio alla sua storia
La prima carità è quella che è stata fatta a noi. Perciò siamo in grado di farla ad altri.
È stato questo lo spunto di riflessione più ricorrente nel momento di assemblea dei Gruppi di Adozione, Affido ed Ospitalità delle Famiglie per l’Accoglienza di Varese che si sono ritrovate il 7 dicembre all’oratorio di Gavirate per riprendere il tema della tre giorni di Peschiera “La carità non avrà mai fine. Nell’accoglienza un bene che permane”.
Tanti gli interventi nei quali l’accento è stato posto sull’amore di cui siamo stati fatti oggetto noi prima ancora che noi lo riversiamo sui ragazzi che accogliamo. Amore che non ti toglie la fatica ma che te la fa guardare in modo diverso. Come ha sottolineato Gigi, una vita di affidi alle spalle. “Tutti gli sforzi che facciamo non sono fine a se stessi e io non devo preoccuparmi di essere adeguato ma solo guardare al fatto che Dio vuole bene a me”. O come hanno sottolineato Gianni, “la pazienza non ce la metto io, riconosco che qualcuno ha avuto pazienza con me” e Francesco che provocato dall’ennesima sfida da uno dei ragazzi della sua casa famiglia resiste all’istinto del momento di cacciarlo e lo abbraccia comprendendo nuovamente la storia di sofferenza che ha alle spalle.
E se si vive il proprio percorso con questa coscienza ci si accorge che accadono cose impensabili come poter creare un legame di amicizia con un ragazzo in carcere per aver ammazzato la madre e andare a pregare al posto suo, visto che gli è stato negato il permesso annuale di farlo, sulla tomba di quella povera donna commuovendosi per essere strumento dell’amore di Dio verso di lei, secondo quanto ha testimoniato Betty. Oppure, dopo 10 durissimi anni di ostilità da parte di una bambina in affido, scoprire la gioia di essere riconosciuti genitori quando la ragazzina, diventata grande e in attesa di un bimbo, capisce cosa vuol dire voler bene ad un’altra persona, come hanno testimoniato Giuliana e Alberto.
E c’è un luogo che aiuta a fare il cammino, faticoso ma bello, cui genitori adottivi o affidatari sono chiamati: le famiglie per l’accoglienza. Lo hanno raccontato una famiglia che ci ha incontrato per la prima volta, cui un figlio adottato non risparmia momenti duri e sacrifici: “Sono contento di ascoltare quello avete raccontato questa sera, per me è un aiuto nella vita quotidiana”, e Guido che afferma che “da soli non ce la possiamo fare e l’ho imparato da persone che hanno capito che il mio limite non va giudicato, è il punto da cui partire per una conversione” o ancora Roberto “diciamo sempre di sì ad alcuni di voi dell’associazione perché senza di voi non ci sarebbe lo stesso gusto”.
Un aspetto questo ripreso da Ambrogio nella sintesi finale. “Guardiamo alla nostra associazione come al luogo che permette nel tempo di capire lo sguardo che Dio ha su di noi. Ognuno di noi affronta problemi. Aiutiamoci a non farci determinare da quelli e chiediamoci cosa ci permette di camminare e di rialzare sempre lo sguardo”.