L’accoglienza, un bene per tutti
L’esperienza delle famiglie e dei ragazzi, Senigallia.
Partendo dal “filo rosso” di questo anno “La carità non avrà mai fine. Nell’accoglienza un bene che permane” le famiglie dell’Associazione delle Marche si sono incontrate per “godere” dell’esperienza dell’accoglienza vissuta in questi anni dalle famiglie e dai ragazzi.
I “frutti” che in questi anni di esperienza si sono visti sono stati proposti a tutti, nella loro semplicità, anche per cogliere l’albero che li ha sostenuti e la radice da cui sono stati generati e continuamente alimentati, come è evidente nella “storia personale e della nostra Associazione, nella nostra amicizia, luogo che sostiene nel cammino, nell’abbraccio della realtà, nel sacrificio del compito”.
All’incontro di Senigallia molte persone hanno partecipato, si sono incontrate ed hanno potuto vedere l’accoglienza come un bene per tutti attraverso l’esperienza, più che nei discorsi o nelle riflessioni.
Così Emanuele, accolto da una nostra famiglia nel 2007 in affido, e poi adottato da maggiorenne, racconta che “la prima cosa che mi è venuta spontanea è stata quella di avere il bisogno di chiamarli babbo e mamma, non so cosa avevo visto in loro,
però dentro di me sentivo che quello era il mio luogo, non per la loro dedizione nei miei confronti o per la mia ricerca di attenzioni da parte loro, ma per il fatto che in quel luogo c’era qualcosa che mi attraeva.
E adesso mi chiedo: che cosa mi attraeva se non erano loro gli artefici di quella attrattiva?”.
Poi dice del suo incontro con la realtà di Famiglie per l’Accoglienza: “Ripensando alle prime volte in cui li ho conosciuti, mi sembravano persone diverse, famiglie speciali, facevano eventi alla fine semplici, ma era proprio quella semplicità che mi folgorava e mi attraeva e allo stesso mi strideva, portandomi a seguire sempre di più; c’era uno sguardo diverso nei loro occhi, nel guardare i figli propri e figli affidati che mi lasciava sempre a bocca aperta. Per troppo tempo mi sono domandato perché lo fanno? Chi glielo fa fare? Questi sono pazzi!”
Di “questa pazzia” hanno poi raccontato alcune famiglie, come quella di Federico e Simona e di Marco e Raffella, sulla carità che non ha mai fine: da una parte nell’attesa paziente del figlio in affido che sbatte la porta e se ne va a 18 anni per vivere la sua libertà, ma che poi ritrova la sua famiglia affidataria, dopo esser passato attraverso tante esperienze negative. Dall’altra chi riapre la sua casa al ragazzo in affido che se ne va, ma dopo essere ritornato e avere iniziato a lavorare, con l’aiuto della famiglia e di tanti amici, se ne va di nuovo; per poi riprendere il rapporto con la famiglia affidataria che l’ha richiamato ad una sua responsabilità e “riconsegnandolo” alla sua madre, con la quale sta recuperando il rapporto filiale.
Oppure chi come Galliano che racconta della sua esperienza adottiva che dura nel tempo, anche per una figlia che se ne è andata ma, nel tempo, riprende il rapporto con la sua storia.
O il racconto di Roberto e Sara che, nell’esperienza recente di affido raccontano che “l’accoglienza non è una nostra capacità, pensavamo alla carità secondo la mentalità di tutti, fare qualcosa per gli altri, ed era chiaro che per noi questo non era durato nemmeno il tempo di una settimana!
È bastata una settimana che il ragazzo fosse a cara nostra per viverlo come un estraneo”.
A conclusione del percorso il racconto dell’esperienza della carità che uno vive in tutti gli aspetti della propria vita, anche quando sembra che tutto neghi una bellezza dell’esperienza, aiutati a stare di fronte alla morte, ai propri figli diversamente abili, alla malattia dei propri cari. Vivere le circostanze che la vita ci dà diventa occasione di incontro di tante famiglie e persone, che, nell’esperienza che si inizia a vivere insieme, si chiedono: qual è l’origine di questa esperienza?
La semplicità che ricordava Emanuele l’abbiamo poi vissuta nel cenare insieme e nell’augurio di vivere la dimensione della gratuità come dono del Signore, che nel Natale si è reso e si rende presente.
M. O.