La Carità non avrà mai fine: il Seminario nazionale di Famiglie per l’Accoglienza
La Carità non avrà mai fine: il Seminario nazionale di Famiglie per l’Accoglienza, Peschiera del Garda, novembre 2019.
“Dài uno sguardo a com’è la mia vita. Io sono molto simile a te, ho bisogno di qualcuno che mi ami ogni giorno che passa. Basta che mi guardi negli occhi e puoi dire che è vero”. In queste parole della canzone Old Man di Neil Young, riproposta a Peschiera nella serata musicale del sabato dal gruppo musicale dei Clerq, è come racchiusa la cifra dell’esperienza di quasi 40 anni di Famiglie per l’Accoglienza.
L’associazione ha riproposto anche quest’anno il consueto Seminario nazionale a Peschiera del Garda, nel quale per l’intero weekend del 15-16-17 novembre circa 350 soci provenienti dalle diverse regioni d’Italia, ma anche da Spagna, Svizzera, Lituania, Romania e Francia, hanno potuto scambiarsi solo una parte dell’immensa ricchezza di storie di accoglienza famigliare, di case di accoglienza, di attività in rete con altre associazioni delle varie parti d’Italia Titolo del Seminario di quest’anno: “La carità non avrà mai fine. Nell’accoglienza un bene che permane”.
Un bene incontrato e scelto per un istante in un giorno o in un anno di grazia, può davvero permanere? e come? Queste erano le domande a cui hanno tentato di rispondere decine di interventi, che hanno cercato nella propria personale esperienza quotidiana di accoglienza famigliare la concretezza di una possibile risposta. Sono risposte non scontate, che hanno chiesto tempo, speranza e un grande lavoro su di sé, nel quale la fatica dell’altro pone a noi la sua stessa domanda.
E’ il caso, tra tanti, di una giovane coppia che ha da 4 anni una bambina in adozione. Per l’incredibile leggerezza di un avvocato, l’adottabilità della loro figlia, su cui pendeva un ricorso, è stata nel frattempo dichiarata decaduta. Dice questo padre: “La presenza di nostra figlia non è scontata. Noi viviamo alla giornata questo miracolo quotidiano di nostra figlia in casa, che si rinnova di giorno in giorno. Vale la pena? Sì, perché rende la nostra vita più piena. Essere padre è un modo per verificare la pertinenza della fede nella vita: è l’esperienza del Padre che si rispecchia in noi. Ogni paternità è sperimentare l’amore come esperienza non scontata”. Una madre adottiva racconta: “Il nostro ragazzo ha manifestato nel tempo comportamenti ad altro rischio: alcol, droga, comportamenti psicotici e bipolari, infine il carcere. Abbiamo bisogno dello sguardo misericordioso del Signore. Il mio ‘fare’ è diventato domanda, preghiera. Non sono io che cambio i mondo, ma un Altro lo fa attraverso di me. Così mi sono riscoperta ad amare mio figlio, che è da un anno che non vedo. Lui ci ha scritto una lettera in cui nonostante tutto il dolore riconosce che questa è la sua famiglia”.
Così la mamma di un figlio Down, ormai grande, che sta all’origiene della storia degli Amici di Giovanni: “Giovanni mi ha liberato dalla mia certezza per porla nelle mani di un altro. E’ un insieme di disabilità e patologie, ma anche di costanti miracoli. La sua strada è piena di miracoli, è un fiore nel deserto che suscita meraviglia e scioglie i cuori”. Una madre affidataria: “Abbiamo accolto un bambino che sapevamo non sarebbe rimasto con noi. Un giorno si affacciò la nonna dall’estero, che sostenuta dal consolato voleva riprenderselo. Io sapevo bene che era adottabile, ma non accettavo che andasse proprio in quel Paese dell’Est: adottabile sì, ma non là! Forse – mi dicevo – là non gli laveranno i denti come glieli lavo io. Ma ora so che poco importa, adesso glieli lavo con tutta la cura, perché oggi mi è dato questo”.
“Beh, io sono sulla mia strada, non so dove sto andando, sono sulla mia strada e sto prendendo il mio tempo, ma non so verso dove” (Simon and Garfunkel, Me and Julio down by the schoolyard).
Un altro momento forte è stato l’intervento di tre figli accolti, ormai giovani adulti, che hanno raccontato tutto il loro travaglio, fino al momento in cui un incontro, una decisione, un viaggio, li hanno portati lontano da casa, ma a ritrovare se stessi e a riconciliarsi con la loro famiglia d’accoglienza e con la loro storia di abbandono. Adele Tellarini, che ha raccolto queste ed altre storie diverse ma simili, ha così commentato: “Avete dovuto affrontare il vostro viaggio, avete dovuto distaccarvi, vedere altro. Al di là del guardare ciò che è accaduto nella vostra vita in questo viaggio avete guardato dentro di voi, e scoperto il vostro desiderio più vero. Ogni persona ripercorrendo quello che ha ricevuto diventa in grado di guardare alla vita: le vostre sono storie di speranza.
“… e che possa la speranza camminare sempre al tuo fianco” (Glen Hansard, Song of good hope).