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Cosa significa per te accoglienza? Ne hanno parlato le famiglie adottive di Milano

«Cosa significa per te accoglienza?» Riparte con questa domanda il ciclo di convivenze per il gruppo adozione di Famiglie per l’Accoglienza di Milano. Il 21 settembre una quarantina di famiglie hanno condiviso le esperienze del cammino adottivo.

“Cosa significa per te accoglienza?”: una domanda diretta e spiazzante, perché va dritta al punto e costringe tutti, nuovi amici e veterani, a riflettere sul significato pieno di un’esperienza che per alcuni è già ricchezza quotidiana, mentre per altri è ancora un desiderio vibrante di incertezza. Si riparte quindi da un dialogo sulle fondamenta dell’amicizia che accomuna tutte le famiglie presenti a questa serata.

Il dialogo è libero, come sempre, ma la scintilla da cui prende vita è uno stralcio dell’intervento di don Michele Berchi, rettore del Santuario di Oropa, all’assemblea nazionale dei responsabili di Famiglie per l’Accoglienza dello scorso anno. Anche don Berchi, affrontando il tema dell’accoglienza, è molto diretto e concentra la sua riflessione sulla prima esperienza di accoglienza che ogni famiglia è chiamata a vivere: quella vicendevole che gli sposi nel matrimonio mettono in atto l’uno verso l’altro. “L’accoglienza vera”, chiarisce don Berchi, “è quella vissuta nella consapevolezza che l’altro è per ciascuno occasione di crescita attraverso la diversità che porta con sé: il Mistero usa tutto di noi per offrire a chi ci accoglie o a chi accogliamo la possibilità di conoscersi sempre più a fondo”.

La cosa che più colpisce è questo capovolgimento di prospettiva: non solo, come testimonia qualcuno, “ci scopriamo capaci di accogliere solo dal momento in cui siamo accolti noi per primi con le nostre fragilità”, ma allo stesso modo ciascuno è chiamato a mostrarsi all’altro con tutto ciò che la propria umanità porta con sé, perché inaspettatamente proprio le imperfezioni possono diventare l’occasione per un Altro di mostrare il proprio progetto buono.

Diversi interventi testimoniano lo stupore di scoprire che nel vivere l’accoglienza non è mai corrispondente nascondere a sé e agli altri il proprio limite, perché è proprio prendendolo sul serio che ci è offerta un’occasione di rinascita. Un’amica racconta l’emergere di questa evidenza nel turbolento rapporto educativo di anni con i figli: “guardare con lealtà il proprio limite è stato il punto di partenza per uno sguardo nuovo” su di sé e sul figlio stesso.

Al fondo si scopre che l’esigenza che domina il cuore di ciascuno è riscoprire di dipendere dal rapporto con Dio, poiché solo questa prospettiva permette di guardare a noi e ai figli in un orizzonte prima inconcepibile, nel quale siamo accolti totalmente. Rimettersi in azione nella stessa realtà provocante e impegnativa, dominati da questa consapevolezza, fa rialzare lo sguardo da ciò di cui non siamo capaci e ci permette davvero di abbracciare gli altri con rinnovata certezza: “Solo così”, racconta qualcuno, “riscopriamo la grazia degli amici che ci correggono e sostengono i nostri tentativi o il dono di un figlio che è diverso da come ce lo aspettiamo”. Solo così si è liberi, di accogliere e di essere accolti.

Gabriele