Maria Elena: “A chi rispondiamo con la nostra accoglienza?”
Domenica 16 giugno, si è svolta presso il Seminario di Seveso, la consueta giornata di fine anno della associazione di Milano e provincia. In realtà, non è stata la fine di un percorso, ma il rilancio di una grande provocazione che ci accompagnerà durante il periodo estivo e da settembre in poi. Di che si tratta davvero, accogliere e ospitare e di Chi si tratta? Come guardiamo i nostri figli? Chi ci permette questo sguardo e come ci sentiamo noi stessi guardati?
Ci ha aiutato in un dialogo fraterno e intenso Davide Perillo, direttore della rivista Tracce, che da subito ha detto di essere colpito dalla vivacità della nostra realtà, dai molti racconti sentiti prima di salire sul palco.
Un filo conduttore di esperienze ha guidato tutta l’assemblea: chi è all’inizio del cammino della accoglienza e dopo alcune iniziali difficoltà si interroga sul centuplo quaggiù, chi si apre alla esperienza della accoglienza perché pregusta una corrispondenza da subito e una nostalgia, chi è messo a dura prova dalla libertà dei figli adolescenti o figli grandi, che sembrano contraddire tutto il bene seminato, chi si apre alla accoglienza come famiglia adulta, seguendo la proposta dei figli naturali e in questo modo vede il compiersi della bellezza di un seme iniziato molti anni prima, chi richiama al valore del matrimonio e della compagnia reciproca su questa strada che è una compagnia vocazionale, ed infine chi vive la dimensione della malattia e della sofferenza. In ogni frangente la domanda che emerge è: chi c’è all’origine dell’accoglienza? A chi stiamo rispondendo? Chi è il grande Compagno di questa avventura, che fa si che tra di noi diventiamo compagni di cammino?
La sfida, il metodo, per non restare alla superficie degli episodi belli o delle difficoltà, è andare sempre più a fondo del Mistero, fino ad arrivare al Tu di Cristo, che ogni volta è diverso. E’ strada viva, che vibra. Per questo la nostra associazione può diventare una strada vocazionale. Tutto questo nella dimensione del tempo, che permette la consapevolezza e la verifica della esperienza. Tutto quello che viviamo ha un valore sociale e quindi politico, perché si pone nel mondo, con una risonanza e un impatto.
Allora è possibile mettersi in cammino di fianco al figlio ribelle, e non davanti a lui, accompagnarlo e iniziare a guardare la vita come la guarda lui. E’ possibile rendersi conto che tutta la nostra mossa di genitori sta nella vibrante attesa che il figlio affermi la sua autonomia, che ci sia. E quindi facciamo il tifo per lui. Sempre. I figli sono altro da noi. E noi dobbiamo attendere che la loro libertà si muova per quello che davvero è.
Dobbiamo imparare a guardare questi figli come li guarda Dio. Abbiamo bisogno di imparare continuamente questo sguardo. Questo è vertiginoso, può togliere la pelle di dosso, perché è davvero drammatico stare di fronte alla libertà dell’altro quando sembra essere autodistruttiva. E’ possibile iniziare a guardare le famiglie di origine dei nostri figli, non come un impedimento da saltare e un limite da togliere, ma come l’occasione preferita di una conversione personale. E’ possibile guardare la malattia mendicando ma con riconoscenza alla strada che si fa. Ed è possibile guardare alla propria ferita personale, sentendosi figli. E tutto l’inizio di questa meravigliosa storia fu nel si di Maria, che accolse lei per prima il Mistero.
Maria Elena