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“Possiamo sperimentare la bellezza sorprendente di una novità inaspettata”.

 300 responsabili si incontrano una volta all’anno tutti insieme per condividere il cammino: quante testimonianze! Massimo Orselli racconta il seminario nazionale – 16 al 18 novembre a Peschiera del Garda. 

Nella sua introduzione il presidente Marco Mazzi ha sottolineato: “Questo momento di condivisione, lo desideravamo e attendevamo come un avvenimento, perché negli anni abbiamo tante volte sperimentato la bellezza sorprendente e la novità inaspettata che passano in questi giorni, e il rinnovarsi dell’amicizia operosa e intensa che ci caratterizza. Ciascuno contribuisce a questo e gode di questo.”

E così è stato per ognuno degli oltre 300 responsabili della nostra associazione, provenienti da tutta Italia e da diversi paesi europei. L’esperienza vissuta da tutti i partecipanti nelle tre giornate vissute insieme ha pienamente incarnato in ogni istante il tema dell’incontro: la gratuità, che innanzitutto va riconosciuta nel fatto di essere ricevuta per poi essere data.

Tutte le esperienze condivise dalle famiglie, aiutate anche dagli approfondimenti di alcuni amici, come don Claudio Burgio, fondatore della comunità Kairos e cappellano del carcere minorile di Milano, e don Michele Berchi, rettore del Santuario d’Oropa, hanno detto di come viene vissuta la gratuità, pur nella fatica e nel dolore, rendendo carne la carità. Roberta, di fronte ad una particolare accoglienza di una ragazza madre dice che occorre “guardarla, senza pretese di cambiarla. Accogliere lei ci ha aiutato a guardare l’altra ragazzina che abbiamo in affido e con la quale facciamo molta fatica, in maniera diversa. Anche lei non è da cambiare, ma da accompagnare per quello che ci viene chiesto. Cambia la prospettiva: non ci sono date perché con pretesa le aiutiamo a cambiare ma ci sono date perché attraverso il nostro occuparci di loro noi cambiamo”.

Questo può cambiare il modo di guardarsi tra il marito e la moglie, e non solo, come ha raccontato Silvia: “Famiglie per l’Accoglienza ha cambiato totalmente il modo di guardarci fra me e mio marito, fra noi genitori e figli, tra amici, anche tra colleghi di lavoro, anche il modo di guardare l’estraneo. Mi rendo conto che il profugo, il gay, il diverso non è più un problema per me, perché la domanda che mi faccio di fronte ad un altro è: qual è la sua storia? Io cosa ne so di lui per dire che lui è sbagliato o cosa gli può essere successo per essere arrivato fino a qui? Per quale motivo devo avere paura della sua storia quando la mia stessa storia è un casino, ma io nel mio casino sono stata amata da Dio, da mio marito, dalla mia famiglia? E quando continuamente sbagliando vengo ri-amata così semplicemente?”. Ma allora veramente uno inizia a fare l’esperienza che l’altro è un bene perché c’è, come ricordava anche don Claudio, riproponendo, come aiuto per cogliere lo sguardo che abbiamo sui ragazzi e sui nostri figli, la parabola del padre buono.

Nell’incontro con questi ragazzi uno scopre anche la ragione di scelte immediatamente non chiare, come quella di anni passati di lasciare il proprio paese per andare in un’altra nazione. Questa l’esperienza di Pablo: “Solo dopo molti anni si capisce perché accade qualcosa, scoprendo così che questi bambini, che abbiamo accolto, erano il vero significato della nostra presenza qui, che ci aspettavano da sempre, per cambiare le nostre vite e far vivere una svolta radicale alla nostra famiglia.”

Questi bambini ci sono dati perché sono “voluti per l’eternità, condizione che nessuno potrà mai cancellare”, come ricordava don Michele; “Ed ogni bambino è fatto per la propria felicità”, ha detto Paola, parlando del proprio figlio disabile che aveva il desiderio di voler camminare. Il padre le disse: “Non basta camminare per essere felici”. Il figlio risponde: “Si, ma io vorrei camminare”. Allora il padre: “Ti chiedo una cosa: anche se non puoi camminare, tu vuoi essere felice lo stesso?”, e lui subito: “Si”.

In tanti racconti era evidente la presenza di un dolore, di una ferita che però non determina la vita dei genitori, perché la “ferita diventa feritoia”. Paolo: “Gratitudine per la ferita perché è attraverso questa che il Mistero si fa prossimo”. Stefania racconta di come si può vivere così, nel tempo, “evitando di anteporre un nostro progetto ed accettando ed accogliendo il progetto che il Signore aveva e ha per nostro figlio, cercando di spostare lo sguardo dalle sue cavolate (ancora ne fa e anche tante) al suo cuore, al fuoco che divampa nel suo cuore”.

Tutte le giornate sono state l’esperienza di una compagnia e di un’amicizia che da una parte sostiene l’esperienza che viviamo e dall’altra consente un incontro con persone e storie in cui ci imbattiamo lungo la strada, un incontro che diventa un’amicizia operativa come è stato raccontato nel pomeriggio di sabato in un dialogo con l’esperienza di Giuseppe Cantoni, presidente dell’Associazione Fraternità, di Marco Giordano, presidente dell’associazione Progetto Famiglie, e Cristina Riccardi, referente dell’Associazione Ai.Bi..

Sono passati i tre giorni tutti immersi nella gratitudine e ognuno è pronto a ricominciare insieme ai propri amici, pronti a dare ciò che “gratis” abbiamo ricevuto.

Un grazie di tutti a tutti.
Massimo Orselli