L’origine del figlio adottivo
“L’origine del figlio adottivo, identità e appartenenza”: incontro con Luigi Regoliosi a Trivolzio (PV) dello scorso 14 aprile. Appunti sintetici e parziali (non rivisti dal relatore)
Sono anch’io un padre adottivo di due figli. Le cose che condivido sono in gran parte tratte dalla mia esperienza, e da quella di tante famiglie adottive conosciute in questi anni attraverso l’esperienza di Famiglie per l’Accoglienza. Nulla è più importante della esperienza: ogni famiglia deve guardare alla propria storia come qualcosa di unico e irripetibile.
La raccolta di tante storie mi ha confermato un dato intuibile, ma che spesso viene sottovalutato: per un figlio adottivo il rapporto con la propria origine è la questione centrale, ed è una ferita che li accompagnerà per tutta la loro esistenza. “C’è un grande buco nero dentro di me, e io ho bisogno di richiuderlo. Potrebbe essere il vuoto lasciato dalla mia madre biologica” ha scritto un adolescente adottato quando aveva pochi giorni.
Il fatto che questi avvenimenti accadano quando il piccolo è ancora incapace di articolare pensieri coscienti e comunicare con la parola, non significa che, a livello emotivo, egli non viva drammaticamente lo spezzarsi e venir meno di questo legame, che non ne soffra e che tale dolore non rimanga nella sua memoria inconscia. Quando queste cose sono successe lui/lei c’era.
Una ragazza adolescente scrive: “Carissimi genitori, mi chiamo Viola e sono stata adottata come i vostri figli. E’ ormai da 7 anni che sono qui in Italia, ma ammetto che i primi 5 anni li ho vissuti con una grande rabbia. Questa rabbia quasi mi ‘divorava’. Quello che voglio dirvi è che non siete voi la causa, ma lo è il passato. Io sapevo di ferire, ma non riuscivo a controllare la rabbia e la paura di essere di nuovo abbandonata”. Credo che quest’ultima sia anche la paura più grande dei vostri figli: essere abbandonati di nuovo. Loro però, nonostante questo, vi vogliono un grande bene, non dubitate mai di questo; gli avete donato una famiglia ed è la cosa più bella che potevate fare.
“Perché mi hanno abbandonato?”. Quale contributo possiamo portare noi genitori a questa domanda? Una risposta può essere “Non potevano sapere com’eri, quello che saresti diventato, non hanno abbandonato te, ma la responsabilità, l’impegno di allevare un figlio, non ce l’hanno fatta, non avevano le risorse (economiche, psicologiche, morali…) per farlo”.
E quando il figlio manifesterà il desiderio di mettersi alla ricerca della propria madre naturale? Che cosa ci può aiutare ad avere lo sguardo giusto su questi problemi? Credo che ciò che aiuta di più è l’impegno a decentrarsi, a mettere da parte i nostri sentimenti – la delusione di non essere riconosciuti, la paura di essere messi da parte, la irritazione per i loro attacchi ingiustificati – per cercare di metterci nei loro panni. Quando ci spaventiamo, ci offendiamo, reagiamo difendendoci dalla loro accuse o accusandoli a nostra volta di ingratitudine. Stiamo pensando solo a noi stessi. Aprirsi all’accoglienza del figlio con tutta la sua storia significa rinsaldare il legame con lui ad un livello che non censura niente, che accetta di ‘stare con lui’, di ‘stare dalla sua parte’.
Nella nostra esperienza di genitori adottivi, la fatica, o l’apparente fallimento, di fronte al figlio che soffre, che ci rifiuta, che manifesta un’acuta nostalgia per la sua origine, non è una esperienza inutile o addirittura distruttiva. Anzi queste cose possono essere proprio il percorso che ci consente di avvicinarci al figlio e al suo dolore, nella certezza – che ci regala la fede – che non siamo noi a salvare i nostri figli, a sanare le loro ferite. Possiamo, anche nella nostra debolezza, essere segni della misericordia di Dio, perché siamo noi stessi oggetto, ogni giorno, della sua misericordia.
Breve profilo di Luigi Regoliosi
Psicologo e pedagogista, docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Brescia. Consulente di enti pubblici e privati nel campo delle politiche giovanili. E’ autore di saggi e ricerche sul disagio giovanile, la prevenzione, il lavoro di strada, la consulenza socioeducativa. È stato Giudice onorario presso il Tribunale minorenni di Milano. E’ direttore della Scuola di Counselling Professionale Sintema.