News

Il bene più grande che ho ricevuto dall’adozione

Quale esperienza di bene viviamo nell’accoglienza? Le parole di Angela all’incontro tra le famiglie del Gruppo Adozione di Milano del 14 aprile.

Una trentina di famiglie, con figli o in attesa, si sono ritrovate a Milano lo scorso 14 aprile per dialogare su due domande proposte: quale esperienza di bene viviamo nell’accoglienza delle storie particolari dei nostri figli e della diversità, anche densa di limiti, dell’altro? Come viviamo l’esperienza di “bene sovrabbondante”, senza scansare la fatica ma “facendo i conti” con essa e con il dolore che varie circostanze ci mettono di fronte? Tante le testimonianze ed esperienze condivise. Qui il racconto di Angela, mamma adottiva.

“Il bene più grande che ho ricevuto dall’adozione di mia figlia è un cambiamento di atteggiamento rispetto alla mia vita ed a quella degli altri. Ogni volta che alla mattina mi alzo e la vedo, fin da quando era piccola (l’abbiamo conosciuta che aveva 15 mesi), mi stupisco che non ci dovrebbe essere, che nella logica della cose lei è un regalo assoluto e immeritato. Più passa il tempo e più questa coscienza aumenta. Dopo 13 anni insieme è sempre più chiaro che le cose più grandi delle mia vita mi sono state regalate, non sono meritate: il marito che, anche se ho pensato di averlo scelto, in realtà non ho deciso di innamoramene, i genitori, gli amici… tutti dati.

L’altro cambiamento di sguardo è nel rapporto con mio marito: fin dall’esperienza della sterilità e nel cammino dell’adozione siamo stati condotti a guardarci, parlarci, metterci in discussione come mai avremmo fatto senza quel dolore. Questo è stato un allenamento essenziale a guardare le domande e il dolore di nostra figlia: ho scoperto che il marito non è un aiuto, ma è una necessità imprescindibile per amare il proprio figlio. Chiedere aiuto e ‘dipendere’ da mio marito (e viceversa) è stato il primo passo per chiedere sostegno agli amici che ci accompagnano. E’ questo il segno di una consapevolezza adulta e non di una debolezza. Forse ‘l’aver bisogno’ è la situazione più continuativa e irrisolvibile della nostra vita.

L’ultimo spostamento di sguardo è rispetto alla sofferenza. Vedere mia figlia soffrire è una delle esperienze più difficili della mia vita: non posso toglierle la sofferenza e non posso alleviarla, spesso in nessun modo, e questa inadeguatezza mi ha cambiato. La mia efficienza e la mia operatività sono inutili, serve solo il coraggio di stare con lei, di abbracciarla senza parlare, di resistere con lei davanti alla sua rabbia e al suo dolore. Questo ‘stare’ senza ‘fare’ ha cambiato per sempre il modo di guardare al dolore di chiunque altro, dagli allievi affaticati (sono insegnante) ai miei genitori anziani. Ho imparato una stima e un rispetto per la sofferenza di ognuno senza quantificarla e analizzarla ma solo stando con chi la porta.

Ad ognuno di noi è data, ad ogni passo, una battaglia che è solo sua e che ha una dignità infinita. Questo è il passo chiesto verso il proprio compimento: niente è poco e niente è inutile”.

Alcune foto del ritrovo delle famiglie del Gruppo Adozione di Milano