Povertà e condivisione, l’esempio di Nomadelfia
Gianni e Solange hanno 7 figli dai 13 ai 2 anni e vivono da quasi cinque anni un’esperienza radicale di povertà, condivisione e accoglienza, Nomadelfia. A partire dal filo conduttore del lavoro di quest’anno, che ruota proprio attorno a queste parole, Famiglie per l’Accoglienza della Toscana ha proposto domenica 5 novembre scorso un’incontro con la loro storia.
Testimoni – non esperti, come hanno tenuto a precisare, o meglio, “esperti solo della vita” – , in rappresentanza della realtà del piccolo grande popolo di 300 persone che pratica concretamente la povertà evangelica e il mettere in comune tutto, seguendo la strada segnata dal fondatore don Zeno Saltini.
Una scelta, hanno detto, che viene da una chiamata precisa (“Per essere felici bisogna rispondere sì ai suggerimenti che Dio ti dà”). Aderire alle modalità di vita della comunità, suddivisa in gruppi familiari che riuniscono più nuclei composti da grandi, piccoli e anziani e che vivono insieme e seguono anche precise regole, non è in contraddizione con la libertà personale. “Libertà è sentirsi al proprio posto dove si è, aderire a una proposta e viverla al meglio” ha detto Gianni. “Rinunciare agli spazi propri per maggiori spazi comuni e accogliere tutti i figli naturali, affidati e adottati – ha detto ancora – sono le aperture che fanno la famiglia più vera e più viva”.
Accoglienza è un’altra dimensione di Nomadelfia, non solo per l’affido di tanti ragazzi nelle famiglie. La comunità, che qualcuno ha paragonato a un’abbazia laica, accoglie regolarmente visitatori e ospiti. Colpiti dalla semplicità della risposta a una vocazione.
“Possiamo imparare molto da loro – ha detto Martina, alla fine dell’incontro – L’ideale a cui tendono è lo stesso che desideriamo per noi: insomma, è un’amicizia a cui guardare”.