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L’ospite è don Federico Pichetto, figlio adottivo e poi in affido: l’incontro del 6 maggio

Il 6 maggio i gruppi regionali affido e adozione dell’Emilia Romagna si sono trovati per la giornata conclusiva del percorso di questo anno sociale con don Federico Pichetto. Ecco alcuni appunti di Simona

L’ospite è don Federico Pichetto, figlio adottivo e poi in affido, che ci tiene subito a sottolineare che il suo vuole essere un contributo alla nostra vita, ma ognuno deve vivere la sua. Poi inizia il racconto.

“La cosa più difficile della mia vita è stato capire che quello che mi era successa non era una sfortuna. Sono stato abbandonato alla nascita e gli inizi per me sono sempre stati difficili. I miei genitori mi hanno sempre detto che ero un bambino speciale perché ero stato voluto bene due volte. L’essere umano è fatto per essere voluto bene ed io mi chiedevo cosa avessi di guasto per esserlo due volte? Mi è sorto il dubbio che il bene non fosse un dato di partenza, ma sempre qualcosa da conquistare, che non fosse sempre a disposizione per me. Oscillavo tra due poli, il compiacimento e la rabbia per il fatto che dentro di me c’era qualcosa che non era andato bene ai miei genitori naturali”.

Don Federico non ha nascosto i dolorosi fatti avvenuti nella sua famiglia, la mancanza della compagnia al proprio desiderio e alla propria ferita. “Non c’era un luogo dove le loro ferite e i desideri fossero autorizzati a vivere appieno”. Riferendosi alla sua storia adottiva poi passata in affido ha sottolineato che per lui “l’importante nella vita è essere fedeli, non generosi”.

Per sostenere la sua adolescenza viene affidato d’estate ad una famiglia che diventerà la sua “terza” famiglia e “dai 13 ai 19 anni sono passato di affido in affido”. A 19 anni l’ingresso in seminario. Poi l’ordinazione. E dopo l’incontro col suo dolore e la sua solitudine che sfociano in una depressione e la scelta di farsi curare. “È stata la prima scelta spiazzante della mia vita perchè l’ho fatta per me”. Il ritorno a casa è ricco di fatti, incontri e di una umanità messa al servizio di un Altro.

“Avevo recuperato serenità e la trasmettevo, avevo capito che tutti siamo figli adottivi e dobbiamo soltanto arrenderci al fatto che chi ci adotta è nostro Padre e il padre e la madre sono le mani di questa cura. Quando l’ho capito, ho anche capito che non ero mai stato dato in adozione e non ero mai stato abbandonato perché queste erano le cose che avevano fatto gli uomini, ma io ero sempre stato figlio di mio Padre e di mia Madre, Loro non mi avevano mai abbandonato.”

Dopo oltre un’ora don Federico conclude: “Vi auguro di poter vivere con lo stupore che le difficoltà passate non sono un incidente di percorso in attesa che la vita diventi bella: è stata la vita, cioè il modo con cui voi siete stati abbracciati da un Altro. Perché anche un dolore, una fatica, diventino un’esperienza di tenerezza occorre stare, fermarsi e “stare”, guardare la realtà data. Non abbiate paura di stare, non abbiate fretta di risolvere i vostri problemi e quelli dei vostri figli, tanto loro sono stati adottati da Uno che il Padre lo sa fare eccome!”.

Simona Sarti