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Sangeetha Bonaiti: “Vengo dall’India, sono stata adottata a un anno e mezzo”

Lo scorso 18 Marzo a Parasacco (PV) l’incontro con Sangeetha Bonaiti, figlia adottiva e madre. Qui alcuni appunti della sua testimonianza.

Vengo dall’India, sono stata adottata a un anno e mezzo da Miriam e Tino. Quello che so di me prima, me l’hanno raccontato. Sono originaria di un paese molto povero, ma sono nata in ospedale. La mamma è morta e il papà mi ha lasciato in ospedale.

Riguardando la mia storia da adulta, penso di essere stata scelta perché sono stata da subito curata. Ho ricevuto il nome che porto in ospedale e poi una suora, di un istituto lì vicino, mi ha battezzata e portata con sé. Dopo circa un anno sono arrivati Miriam e Tino e anche lì sono stata scelta, una seconda volta. Loro stavano preparando un viaggio verso un’adozione in Perù ma poco prima della partenza hanno ricevuto una telefonata che annunciava una bambina adottabile in India. Miriam aveva studiato tutto del Perù, lingua, storia, geografia…

Ho ricordi positivi di una bella infanzia. Con la crescita sono emerse le difficoltà e la diversità fisica era palese. Alle elementari ho iniziato a farmi e ricevere domande: ‘Perchè sei nera e la tua mamma è bianca?’, ‘Chi era quella mamma là?’, ‘Perché io sono qua?. Ho risposto a modo mio, ho pensato che non era il momento per andare a fondo perché ero piccola.

Sangeetha Bonaiti Il rapporto con i genitori si è complicato alle superiori. Facevano un’esperienza di fede che io ho voluto verificare per me. Allora non li volevo come genitori. Ho affermato a gran voce: ‘Non sei il mio vero papà, non sei la mia vera mamma!’. C’è tutto il tuo io che deve emergere e quindi cerchi di levarti di torno i genitori. Sono cresciuta anche grazie al rapporto con alcuni amici dei miei genitori con cui mi sfogavo, buttavo addosso a loro la mia rabbia. Mi han fatto compagnia senza imporsi. Sono stata aiutata dalla disponibilità dei miei genitori adottivi di fidarsi di quelle persone.

Attraverso questa disponibilità dei miei genitori – lasciare che altri adulti si prendessero cura di me – ho scoperto che avevo bisogno di risceglierli come genitori. Per me, essere figlia adottiva è riscegliere continuamente i miei genitori, come per voi è continuamente riscegliere il figlio che non è stato nella vostra pancia. ‘Quella mamma là, chissà come mi ha amato, chissà cosa pensava?’. Quella mamma ha detto ‘Sì’ e mi ha tenuto 9 mesi. Ho potuto guardare quella ferita grazie e in forza di un bene vero, presente, che io vivo adesso. Cerchiamo di creare le distanze perché abbiamo paura di affrontare il dolore.

Capisco il dolore di voi genitori adottivi perché il figlio non è venuto fuori da voi, ma è bene valorizzare il sì dei suoi genitori ve l’ha donato. Oggi ho 2 madri, 2 padri, un marito e 3 figli. Di questa bellezza me ne sono resa conto guardando questa mancanza. Non ci è lecito togliere il dolore, la mancanza, ad un figlio adottato perché vorrebbe dire impedire il percorso di crescita, di identità di sé . Madri e padri nella vita sono tanti, sono tutti quelli che ci permettono di scoprire chi siamo, sono tutti quelli che, poco o tanto, incontriamo. Si può stare davanti a questo fatto se ciascuna madre o padre è capace di dare il massimo di sé senza precludere la possibilità ad altri di dare ancora, di dare in modo diverso, di dare di più. Il nostro amico don Giussani ci diceva che ci augurava di essere madri e padri di tutti quelli che incontriamo.