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Al centro del nostro sguardo: chi è colui che accogliamo

Ragazzi e bambini in affido a lungo termine e il rapporto con le loro famiglie di origine. Famiglie con figli adottivi diventati adulti, che chiedono , nella loro fragilità, di essere continuamente ri-accolti. Una vasta gamma di situazioni diverse, caratterizzate da un’unica domanda: come rispondere al bisogno di questi figli?
Spunti dal dialogo in occasione della giornata di convivenza della Toscana, a cui hanno partecipato Marco e Licia Mazzi.

Un momento di dialogo, a partire dalle esperienze in atto, ha aperto domenica 18 gennaio la giornata di convivenza di Famiglie per l’Accoglienza Regione Toscana, a cui hanno partecipato Marco Mazzi – presidente nazionale della nostra associazione – e la moglie Licia.

??????????????????????????????? “Lo scorso anno abbiamo focalizzato il nostro lavoro – ha ricordato Marco – sul cammino educativo che l’accoglienza ci fa fare, per il fatto che questi nostri figli sono occasione per il nostro cambiamento. Ma quest’anno  abbiamo aggiunto un passo in più – ha sottolineato –, cioè come siamo educati ad avere uno sguardo sui nostri figli non più segnato dalla misura, dall’abitudine e dal progetto, ma determinato dall’accogliere chi sono loro. Il cammino che facciamo, il cambiamento che ci è dato è l’esperienza di ascoltarli, immedesimarsi con loro, soffrire con loro, cercare di capire dove sta la loro attesa e perché si comportano in una certo modo. Ecco, come Associazione ci interessa mettere al centro quello sguardo che riconosce chi è l’altro: un estraneo diventato figlio – che cosa impressionante! – una persona sconosciuta ma così dentro la nostra carne che ci fa palpitare, perdere il sonno e che diventa compagno di viaggio”.

“Un giorno, un ragazzo accolto a casa nostra, ha ora 20 anni, ci ha domandato perché siamo felici – ha aggiunto Licia – Siamo stati costretti a guardare la profondità della sua domanda. E capiamo la sua nostalgia di stabilità e, nello stesso tempo, che fatica stia facendo. Comprendiamo che questa domanda è vera. E ci troviamo ad essere suoi compagni di viaggio: è come se ci chiedesse che cosa abbiamo di bello da fargli condividere, e perché siamo così”.

Nello scambio di esperienze della mattina è emerso anche il racconto di momenti di fatica e difficoltà, in cui sembra che mettercela tutta non serva a niente e, anzi, tutto questo sembra contro noi stessi.

“Spesso si fanno tante cose per i nostri ragazzi, ma con una spaccatura di coscienza dentro – ha detto Licia –  sotto sotto percepiamo l’altra persona come un inciampo. Ma così si rischia di perdere totalmente la dimensione del “dono”, si perde uno sguardo di gratitudine. Che la dedizione ai nostri figli diventi un progetto è naturale, ma altra cosa è la pacatezza di chi ce la mette tutta, ma sa che, alla fine,  non dipende tutto da lui. La pacatezza di chi, con umiltà, fa quel che può. L’Associazione e le nostre amicizie ci aiutano, in questo senso,  a purificare lo sguardo e a recuperare il significato della nostra accoglienza e del nostro essere genitori”.