Una presenza “Made in China”. Storia dell’incontro adottivo con Chen
Viaggio in Cina.
L’amico Michele Berra, ci scrive l’esperienza passata a gennaio 2014, l’adozione ed il primo incontro con Chen.
Siamo a ChangSha nella provincia dello Hunam in Cina. Una città sconosciuta per noi europei. Tuttavia ci sono circa 5 milioni di abitanti ed è una città in continua evoluzione anzi è un “cantiere” in costruzione con grattaceli altissimi.
Alle 9 di mattina viene a prenderci la referente cinese dell’associazione per accompagnarci con un pulmino al palazzo comunale per le adozioni. Il viaggio sembra lunghissimo. Traffico immenso, macchine che saltano le code, moto che viaggiano contromano, persone che attraversano le strade di 4 corsie… insomma un viaggio in macchina che rimarrà nella nostra memoria perché corrisponde alla “complicata strada adottiva” che abbiamo percorso in questi ultimi 3 anni.
Appena arriviamo ci fanno salire al 4° piano in attesa dell’incontro con Chen Yong. La sala d’attesa è abbastanza grande con una bandiera cinese, una cartina della Cina e delle foto di bimbi cinesi dati in adozione. Si attende in silenzio. Ma sembra che il tempo non passi. Io sono fermo davanti alla finestra a guardare chi entra nel palazzo. Ad un certo punto vedo entrare nella reception del palazzo una donna con un bimbo in braccio e subito si apre la speranza. Avviso subito la Giuly e la Kika: “è arrivato Chen! Sta salendo”.
Questo bambino entra nella stanza in braccio ad una donna, accompagnata dal responsabile della casa di accoglienza e da una impiegata comunale. Immediatamente passano Chen alla Giuly che lo prende in braccio. Poi anche la Kika lo vuole subito abbracciare e quindi viene messo a terra a “giocare” con tutta la mia famiglia.
Io, questo momento di incontro, l’ho vissuto da “spettatore”, da colui che guarda ma non “vive” l’incontro. Perché vede subito le problematiche del bimbo, molto evidenti. Le labbra sono chiuse, non parla e non interagisce con le persone. Quando apre la bocca scopro che non ci sono i denti… ha le orecchie storte il naso schiacciato. Inoltre non cammina e penso che questo sia dovuto al problema dell’ernia inguinale che già conoscevamo… Insomma mi era sembrato di essere entrato in una “strada” che era diventata ancora più “complicata” e mi chiedo: “Signore, ma io avrò le forze per procedere?”.
La Giuly mi guarda e mi dice: “stai qui con noi a giocare con Chen”. E La Kika mi dice “sai papà che Francesco lo chiameremo Kiko! Perché io sono Kika e lui è il mio fratellino!”.
Ecco come in 2 minuti tutto cambia, anche se le “malformazioni” non cambiano. Gesù lo vuole così, la mia famiglia lo ama così e anche io imparerò nel tempo ad amarlo così, questo Kiko!
Rieccoci saliti sul pulmino per tornare nel nostro super Hotel al 32esimo piano. Entriamo in camera ed eccoci finalmente uniti e “risvegliati” negli occhi e nel cuore grazie alla presenza di Kiko. In pochi giorni il piccolo inizia a interagire, piangere, ridere, camminare (aiutato con le mani). Insomma capiamo che per 15 mesi era rimasto chiuso in un lettino “ da solo” e ora la nostra presenza aveva “risvegliato” anche lui! Perché come dice Carron: “se non si è mai stati guardati nella propria vita, mai nessuno prende consapevolezza di sè”. E proprio in questi ultimi giorni Kiko si alza da terra, guarda a che distanza sono le braccia del papà e inizia a camminare in modo indipendente. Poi, raggiunte le braccia del papà, inizia a ridere! È proprio in questo “sguardo” che un bimbo anche solo a un anno scopre tutto il valore della propria persona, e inizia a vivere.
Anche noi adulti abbiamo vissuto questo “sguardo” attraverso molti amici che quasi tutte le sere ci scrivevano e accompagnavano nella preghiera in questo cammino. Insomma c’è tutto un popolo unito per una “presenza”. La collaborazione che si è generata e l’accompagnamento che si è realizzato è stato fantastico! Infatti ogni sera Lorenzo e Federico ci scrivono dei bellissimi messaggi dagli USA testimoniandoci sempre che solo “amare è vivere”. Il Garro e la moglie Elena ci sostengono con gioia e forza da Milano visto che anche loro hanno fatto lo stesso percorso l’anno prima. Il nostro amico Lele Silanos, missionario per diversi anni a Taiwan, ci aiuta a tradurre il nome di ChenYong, perché di per sè i nomi cinesi sono una sorta di augurio che si fa al bambino: che la sua vita corrisponda al senso dei caratteri del suo nome. “Nel caso di Francesco Chen Yong l’augurio e’ che sia sempre (ogni giorno, in ogni tempo) coraggioso e se ci si vuole aggiungere anche il significato del cognome “She” si potrebbe dire che l’augurio e’ che si distingua sempre nel mondo (nella società’), in mezzo agli altri, per il suo coraggio. Oppure ancora che brilli per coraggio come una stella in mezzo al mondo degli uomini”.
Ora siamo a Pechino, città da oltre 20 milioni di abitanti. Una società molto diversa dalla nostra, una lingua difficile, dei caratteri illeggibili, un traffico incredibile, un cibo completamente differente ma dentro questo mondo alle 18 di sera nella Hall del nostro hotel ci aspetta Lian. E’ una dottoressa cinese amica di mio fratello Lorenzo, responsabile della ricerca medica per il governo cinese. E’ quindi una persona importante perché ha una carica rilevante all’interno di questa società. Ebbene, nel pomeriggio ci aveva organizzato la visita alla “Città Proibita” affiancandoci dei suoi colleghi e la sera aveva organizzato anche la cena in un bel ristorante. Durante questa cena ci siamo sentiti sostenuti, affiancati e aiutati in questo nostro cammino anche da una persona che non conoscevamo e che fa parte di un “mondo diverso”. Anche questo sguardo e queste attenzioni che sono proseguite anche nei giorni successivi ci hanno fatto sentire a “casa” nonostante fossimo a 8.000 km di distanza da Milano.
E’ domenica. A Pechino il cielo è limpido da oltre una settimana con una temperatura fissa a -2°. Usciamo dall’albergo per andare a Messa. Scendiamo dalla Metrò e, tra i grattaceli e i centri commerciali, c’è una bellissima Chiesa. Entriamo e la S.Messa di don Carlo è già iniziata. Chen sta nella carrozzina e la Ludo colora. Prima della benedizione finale don Carlo dice: “c’è una coppia di italiani che è venuta in Cina per adottare un bimbo cinese. Chiedo quindi alla famiglia italiana di salire sull’altare con il bimbo e a tutta la comunità di pregare la Madonna per questo cammino adottivo”. Appena saliti sull’altare e presentato Chen alla comunità, inizia la preghiera. E iniziano anche le lacrime di commozione di mia moglie che non avevo mai visto nella mia vita fino a quel giorno…
Ecco come una “Presenza” ha permesso di proseguire il cammino anche se non si hanno più le forze o se le scarpe sono “cotte”, come dice mia figlia ;-)
Miki, Giuly, Ludo e Chen