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«Il dono della speranza». Alla Giornata regionale del Veneto storie “estreme” di figli accolti

Manuel, che da bambino ha vissuto per anni nella foresta. Giusi, che viene a sapere “per sbaglio” di essere figlia adottiva. Storie estreme quelle proposte il 12 gennaio a Verona alla Giornata regionale delle Famiglie per l’Accoglienza del Veneto. Ma storie che aprono anche alla speranza.

Marco Mazzi sdrammatizza: «Grazie, perché ascoltandovi ho capito che non riusciamo mai a distruggere fino in fondo quello che il Signore ha pensato per i nostri figli». Le storie raccontate ai duecento partecipanti (mai così numerosi) accorsi il 12 gennaio nel Seminario minore di Verona hanno però un alto coefficiente di drammaticità.

manuelManuel, cileno, scappa da bambino in un bosco dove vive per anni, per fuggire dall’assassino della madre. «Ero Tarzan», scherza sulla propria storia. Giusi scopre a 15 anni che sua madre non è la donna che l’ha generata. Due situazioni apparentemente senza uscita. Che non sembrano confermare il titolo della giornata “Il dono della speranza”.

In realtà, racconta Daniela di Verona, promotrice dell’incontro, «avevo già sentito parlare Manuel e la sua è una grande testimonianza di speranza. Mentre raccontava di sé, io lo guardavo e vedevo un volto bello, sereno, vivo che contraddiceva le terribili parole che stavo ascoltando. Cosa gli ha permesso di diventare così e di non essere determinato dal suo passato drammatico? Cosa gli ha permesso di farsi una famiglia, di mettere al mondo dei figli, dopo tutto il male visto e subito?»

Manuel ha trovato dei genitori accoglienti, degli amici, ha visto riecheggiare le sue domande in un testimone come don Giussani: «Quando l’ho sentito parlare ho pensato: ma allora non sono solo io così, siamo in due!» Anche Giusi affronta un lungo cammino che la porta a ricercare la famiglia d’origine, a scoprire di avere un fratello, a sposarsi, a superare il dramma di non poter avere figli naturali e a diventare a sua volta madre adottiva.

«Non ho visto due persone felici in senso beota», commenta Daniela, «ma due persone al lavoro con la propria umanità e questo mi sembra la cosa più interessante». Perché c’è sempre un punto da cui ripartire. Lo si sperimenta ancora una volta nel pomeriggio con la visita a San Zeno, guidata con passione da Alessandra. «Abbiamo toccato con mano la bellezza», dice Daniela. «Ne abbiamo sempre bisogno. In certi periodi più che in altri».